La situazione di emergenza nella quale ci troviamo può darci alcuni spunti di riflessione che collegano quello che stiamo vivendo con qualcosa della vita di s. Eugenio. Vorrei qui presentare tre punti.

1. Dall’emergenza può nascere qualcosa di nuovo

Il periodo che stiamo vivendo è un periodo difficile per tutti. Dobbiamo però chiederci: questo tempo è solo una disgrazia che speriamo finisca presto o ci sta consegnando anche qualcosa di prezioso? Il Dio che fa nuove tutte le cose (Is 43,19) è all’opera anche qui o no? 

Ai tempi di s. Eugenio, quando finì la Rivoluzione francese, tanti sacerdoti hanno fatto, più o meno, questo ragionamento: finalmente tutto è tornato come prima.1 E ricominciarono a fare le cose di sempre.

Eugenio non fece così. Si sentì fortemente interpellato dalla nuova situazione che si era creata; capì di dover fare qualcosa di diverso per poter consegnare ai più poveri la ricchezza più grande: il Vangelo.

Anche Eugenio ha visto la morte con i suoi occhi. Si trovava in una situazione simile alla nostra per l’epidemia del tifo. Le carceri di Aix erano piene di prigionieri di guerra. Quando il cappellano morì di tifo, Eugenio prese il suo posto e lui stesso ne rimase contagiato. Il 14 marzo 1814 gli amministrano gli ultimi sacramenti. Accompagnato dalla preghiera di tanti giovani, pian piano, per grazia di Dio, si riprese e guarì. Era passato appena un anno dagli inizi del suo ministero ricco di iniziative e di zelo e, se non ce l’avesse fatta, tutto sarebbe finito con lui. Ma proprio in questo stare tra la vita e la morte, per una forte spinta esterna ad opera dello Spirito, capì che doveva far nascere qualcosa di nuovo; ha fondato, così, i Missionari di Provenza. Era questo il nome del gruppo dei primi che si associarono a lui. Potremmo quasi dire, esagerando, che grazie all’epidemia del tifo sono nati i Missionari Oblati di Maria Immacolata.

Come Eugenio anche noi dovremmo chiederci: cosa questa strana situazione ci può insegnare, in che modo muove la nostra creatività, e soprattutto, cosa lo Spirito santo ci suggerisce? Il Signore, che ci parla negli avvenimenti e nella storia, forse ci sta spingendo verso qualcosa di nuovo da trovare per la nostra vita e per la Missione.

2. Una vita che non ha fine

L’arrivo di questa emergenza ha riportato in evidenza realtà che spontaneamente metteremmo volentieri a lato, che vorremmo cancellare dal vocabolario: la fragilità e la morte.

Il virus, invece, ce l’ha sbattute in faccia senza ritegno. Come cristiani dovremmo saperci distinguere per la fede nel Signore che ci ha creati per una vita che non finisce. È consolante il fatto che la Pasqua, memoria viva della morte e resurrezione del Signore, quest’anno sia capitata in piena emergenza. Per il cristiano la morte non è qualcosa che scoraggia e che toglie energie al nostro vivere. La morte, al contrario, è uno stimolo ad impiegare  bene i nostri giorni. Col salmista anche noi chiediamo: “Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo al cuore della sapienza” (Sal 90,12); il pensiero che l’esistenza terrena ha un termine ci dà una spinta a vivere con generosità sapendo che ci aspetta una vita che non finisce. Mi piace ricordare un episodio del Vangelo che racconta dei discepoli che tornano dalla missione che Gesù aveva loro affidato; erano pieni di gioia per i prodigi che avevano operato. E Gesù dice loro: “Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi.  Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli” (Lc 10,18ss).

Dobbiamo vivere quaggiù sapendo che siamo cittadini di lassù. Così Eugenio ha vissuto la sua vita e tutta la sua azione missionaria. Oggi celebriamo la sua festa perché crediamo che la sua morte non è stata la fine della sua vita, ma solo l’ingresso nella vita piena; possiamo vedere realizzata anche in lui, come speriamo per tutti noi, la parola di Gesù ai suoi: “rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nei cieli”.

3. Ogni tempo è buono per diventare santi

Siamo qui per festeggiare sant’Eugenio ma anche per ravvivare la chiamata alla santità che il Signore rivolge a tutti i suoi discepoli: “Questa è la volontà di Dio – dice l’apostolo Paolo alla comunità di Tessalonica – la vostra santificazione” (1Ts 4,3). 

Non c’è un tempo adatto e uno non adatto per diventare santi. Anzi, “nella notte più oscura sorgono i più grandi profeti e i santi” (S. Edith Stein). Quindi anche questo nostro tempo è un tempo buono. 

Eugenio nei suoi tempi, non meno difficili del nostro, è diventato santo; questo significa che ciò che propone può condurre anche noi alla santità. E cosa ci propone? Proprio come oggi, il 21 maggio del 1861, poco prima di morire consegnò ai suoi il suo testamento che, se vissuto bene può diventare cammino sicuro per tutti quelli che lo seguono: “Tra voi la carità, la carità, la carità e fuori, lo zelo per la salvezza delle anime”.

La carità tra i membri e la missione non sono due cose separate, ma sono due facce della stessa medaglia, sono tra loro profondamente unite, la presenza dell’una garantisce l’autenticità dell’altra: è dall’amore, dall’unità tra i membri della comunità che nasce la missione; la vera fraternità non può essere una realtà intimistica e chiusa goduta da pochi; è una realtà, invece, che si apre spontaneamente agli altri, col desiderio di raggiungere tutti. Allo stesso tempo, questa apertura missionaria mira ad allargare il cerchio della fraternità. Il documento dedicato ai laici, scritto da Giovanni Paolo II, così sintetizza: “La comunione è missionaria e la missione per la comunione” (CL 32).

Mi piace riportare quanto disse papa Benedetto parlando della Comunità cristiana: «L’apostolo Paolo qualifica la Chiesa come “casa di Dio” (1 Tm 3,15); e questa è una definizione davvero originale, poiché si riferisce alla Chiesa come struttura comunitaria in cui si vivono calde relazioni interpersonali di carattere familiare… Come famiglia e casa di Dio dobbiamo realizzare nel mondo la carità di Dio e così essere… luogo e segno della sua presenza. Preghiamo il Signore affinché ci conceda di essere sempre più la sua Chiesa…, il luogo della presenza della sua carità in questo nostro mondo e nella nostra storia»2. Comunione e missione attraverso innanzitutto la testimonianza.

Di tutto questo, come appartenenti alla famiglia di s. Eugenio, noi dovremmo essere esperti.

Maria nostra Madre e Regina possa custodire la nostra famiglia e la nostra azione missionaria e ci renda sempre attenti ed aperti al soffio nuovo dello Spirito, vera forza di coesione interna e di espansione esterna.

Pozuelo, 21 maggio 2020

p. Gennaro Rosato omi
superiore provinciale


1Cfr. http://fabiociardi.blogspot.com/2020/05/coronavirus-un-tempo-propizio-che-dio.html

2Udienza generale del 15 ottobre 2008