Carissimi Confratelli Oblati, Consacrate e Laici della Famiglia Oblata,
spontaneamente quando pensiamo all’estate pensiamo ai giorni di riposo che ci aspettano, specialmente se l’anno vissuto è stato intenso e forse anche accompagnato dalle difficoltà che fanno parte della nostra vita di essere umani.
Anche Gesù un giorno disse ai discepoli: “Venite in disparte con me e riposatevi un po’” (Mc 6,31). Il riposo ben fatto ci rigenera; ci fa riacquistare le energie, ci permette di abbassare le tensioni facendoci recuperare la capacità di relazioni più serene, ci dà l’occasione di ricrearci facendoci godere la bellezza del creato… Allo stesso tempo, le vacanze possono anche essere l’occasione per rimettere a fuoco alcune cose della nostra vita, per rivalutare le scelte fatte e magari riscoprire le priorità valoriali per riattivarle.
Proprio pensando a tutte queste cose mi sono chiesto: cosa ci fa stancare di più? E spontaneamente mi è venuto in mente un altro brano del Vangelo, quando Gesù chiama i suoi “perché stessero con Lui e per mandarli a predicare” (Mc 3,14s). I verbi utilizzati, che esprimono due attività specifiche del discepolo, possono essere paragonati al contenuto di un manuale di istruzioni che illustra cosa fare per poter permettere allo strumento che si utilizza di funzionare correttamente. A volte, se gli strumenti che utilizziamo ci potessero parlare, ci direbbero quanto li facciamo stancare, incluso andare in tilt, perché non li utilizziamo correttamente. Un mio amico fu bocciato alla patente di guida perché accelerava senza mai cambiare marcia. Povero motore, che avrà pensato?!
Cosa può significare questo per noi? Come missionari ci piacerebbe che la nostra azione fosse efficace e portasse frutti abbondanti. E questa è una gran bella cosa. Ma se ci dimentichiamo che la missione non può essere separata dal discepolato è come se volessimo andare a 100 all’ora con la prima. Stare con Gesù e andare a predicare sono due realtà che si nutrono e si arricchiscono l’un l’altra. Entrambe sono caratterizzate dal fatto che hanno a che fare con Gesù: stare con Lui; essere inviati e accompagnati da Lui.
Come realizzare questo anche oggi? Gesù non è più fisicamente con noi, ma ci ha dato la soluzione per permettergli di continuare ad esserlo: ci ha lasciato lo Spirito Santo, che Lui qualifica anche con un termine particolare, Paraclito, cioè colui che sta accanto per suggerire cosa e come fare, per infonderci luce e forza, per tener costantemente viva la memoria del Signore Gesù perché resti presenza vivificante nella nostra vita. È grazie a Lui che possiamo vivere da discepoli del Signore ed essere suoi inviati.
Come lasciargli spazio? Senza essere assolutamente esaustivo, presento alcune semplici indicazioni che spero possano aiutare.
Innanzitutto, è importante imparare a distinguere le voci che ci parlano nel cuore per seguire quella che ci suggerisce lo Spirito e che, in ogni occasione, ci dice: evita il male e fa il bene. Fermarsi la sera e rileggere brevemente la giornata può essere uno strumento utile per vedere a quale voce abbiamo dato più ascolto (in pratica, di chi siamo stati discepoli) e in che misura, quindi, abbiamo seminato un po’ di bene nel pezzetto di mondo che ci è affidato.
Un secondo modo è legato alla nostra relazione col Vangelo. Un’azione particolare dello Spirito è quella di aiutarci a “ricordare” le parole del Signore (Gv 14,26). Questo significa che prima dobbiamo averle ascoltate o lette, come buoni discepoli (Gv 8,31). Da qui l’importanza del dedicare un momento alla lettura e alla meditazione delle parole di Gesù riportate nel Vangelo perché, con l’aiuto dello Spirito che ce le “ricorderà”, diventino sempre più criterio di discernimento nelle scelte piccole e grandi, ordinarie o fondamentali della nostra vita e che ci renderanno testimoni credibili del Signore.
Un terzo modo è legato alla vita relazionale. Amare significa volere il bene dell’altro fino a dare la vita per lui, come ha fatto Gesù che ha amato fino alla croce. Il morire amando ha trasformato l’ultimo respiro in effusione dello Spirito (Gv 19,30). Il discepolo che, nelle mille occasioni di ogni giorno, sa morire amando testimonia la sua docilità allo Spirito ricevuto in dono e che, trovando spazio, continua a rinnovare le relazioni con i frutti che porta: gioia, pace, pazienza, benevolenza… (cfr. Gal 5,22). È lo Spirito, infatti, che infonde in noi la vita di Dio che è amore (Rm 5,5) e ci permette di vivere qui in terra come testimoni della vita che si vive in Cielo.
Un quarto modo ha a che fare con la missione che per noi della famiglia oblata si caratterizza nell’evangelizzazione dei poveri. Chi ha messo nel cuore di Eugenio il desiderio di far conoscere ai poveri il tesoro che aveva scoperto, il Vangelo, che ha nell’amore personale del Salvatore il suo punto vertice? Lo Spirito santo. Il sentirsi ancora interpellati dai poveri dai molteplici volti e il desiderio di dare risposta, è un ulteriore segno della presenza dello Spirito che continua a spingerci nella direzione presa da Eugenio.
Rileggendo quello che ho scritto ho visto che di riposo, come il titolo lasciava pensare, ho parlato poco. Questa stessa riflessione, inoltre, più lunga delle altre, ha richiesto a chi l’ha letta uno sforzo maggiore. La cosa più naturale sarebbe stata cambiare titolo. Mi sono però ricordato che proprio in quell’occasione in cui Gesù aveva detto “venite e riposatevi un po’” di fatto non hanno potuto riposare: “Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero. Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose”(Mc 6). Anch’io allora, come san Marco, ho lasciato il titolo…
Maria, tu che sei stata la perfetta discepola del Figlio tuo e sua prima testimone, aiutaci ad essere come te aperti all’azione dello Spirito, l’Unico capace continuamente di stupirci, inesauribile Dono dall’alto per la vita del mondo.
Ricordiamoci di pregare sempre gli uni per gli altri.
P. Gennaro Rosato
Superiore provinciale