Santuario del Divino Amore (RM), 19 febbraio 2022

 

Carissimi tutti, se non sbaglio, è la prima volta in assoluto che celebriamo qui in questo bellissimo Santuario mariano la s. Messa in occasione della professione perpetua di qualche nostro scolastico. È un luogo spazioso che ci fa stare tranquilli dall’angolatura delle misure di sicurezza da rispettare, ma è soprattutto la Casa di Maria che, come mamma, ci accoglie tutti e ci aiuta a sentire subito quell’aria di famiglia che solo una mamma sa creare.

Immagino che tutti siamo a conoscenza del fatto che stiamo vivendo la prima fase del Sinodo voluto da papa Francesco. Il Sinodo è una assemblea composta soprattutto da Vescovi convocati dal Papa perché lo aiutino con i loro consigli nel governo della Chiesa. In genere ogni sinodo ha un tema. Nel corso degli anni si è riflettuto, ad esempio, sui laici e la loro missione nella Chiesa, sul sacerdozio, sulla vita consacrata, sulla Parola di Dio, sulla Famiglia ecc. Il tema dell’attuale sinodo è particolare, è un sinodo sulla sinodalità, un sinodo, cioè, che dovrebbe aiutare tutti a capire come camminare insieme, sulla stessa strada, avendo una meta comune; un sinodo che aiuti a capire che siamo tutti importanti e tutti coinvolti nella vita della Chiesa per essere, insieme, nel mondo, una presenza di senso e di speranza. Si tratta di uno stile da acquisire. Per questo, alcune parole chiave sono: ascolto, comunione, partecipazione, discernimento comunitario in vista delle scelte da fare a servizio della missione.

Potremmo chiederci se anche la chiamata ad una vita di speciale consacrazione e la conseguente risposta abbiano il timbro della sinodalità. Le letture ci danno alcune indicazioni preziose. Mi soffermo soprattutto sulla prima.

Il primo elemento che viene in evidenza è proprio quello dell’ascolto. Un ascolto caratterizzato dall’attenzione a capire e dalla disponibilità a mettere in atto dopo aver capito.

È innanzitutto Samuele ad ascoltare: ascolta quello che gli dice il sacerdote Eli e, soprattutto, quello che gli dice il Signore; il suo è un ascolto aperto e ubbidiente: «Mi hai chiamato, eccomi». Eppure, siamo nel cuore della notte quando il desiderio più spontaneo sarebbe quello di poter continuare a dormire più che alzarsi per fare altro.

Anche il sacerdote Eli è in ascolto. Innanzitutto, in ascolto di Samuele; un ascolto che via via si fa sempre più attento fino a capire che c’è qualcosa di più profondo da cogliere perché chi parla può essere addirittura il Signore.

Un secondo elemento è la partecipazione nella messa a fuoco della chiamata di Samuele; vi partecipa la mamma, che consegna Samuele al Santuario; vi partecipa il sacerdote Eli che, pur con i suoi limiti, alla fine dà l’indicazione giusta a Samuele; vi partecipa lo stesso Samuele che non è un semplice recettore ma è attivo nel dare il suo assenso a quella che scoprirà essere la chiamata di Dio per lui, in vista della missione che Dio stesso vuole affidargli come profeta per il popolo.

C’è, poi, in questo racconto, anche un altro elemento importante del cammino sinodale, il tempo. Ogni percorso ha i suoi tempi, così come la chiamata. Nel caso di Samuele, ad esempio, c’è una progressione nella comprensione di ciò che accade fino a capire che Dio si sta manifestando.

Potremmo applicare tutto questo a Jeikov -che oggi si consacra per sempre- e accorgerci dei chiari parallelismi tra il racconto della vocazione di Samuele e la sua storia fino alla decisione che oggi viene esplicitata attraverso la sua Oblazione perpetua. C’è stato qualcuno o qualcosa, persone o situazioni, che lo hanno portato al “Santuario”; c’è stato sicuramente un cammino a tappe nella comprensione della chiamata di Dio, ci sono state delle persone che hanno accompagnato tutto l’iter di discernimento perché potesse rendersi più chiara a lui la voce del Signore. Ed è stato soprattutto lui a mettersi in atteggiamento di ascolto e a dare poi il suo libero assenso alla chiamata di Dio.

 Mi piace qui fare un’ulteriore sottolineatura e cioè il fatto che questa chiamata avviene di notte. La notte ha una molteplicità di significati. Ne scelgo due. Innanzitutto, quello della notte come tempo del riposo, della distensione. Il fatto che Dio per tre volte chiami Samuele di notte mentre dorme indica che Samuele era tranquillo. Ed è significativo l’invito di Eli: “torna a dormire”, come a dire continua a vivere ciò che stai vivendo, serenamente; prega, opera, continua a fare bene quello che devi fare perché la parola del Signore, se c’è (e c’è sicuramente) si farà sentire. Questo conferma un elemento importante dell’esperienza che i nostri giovani vivono in comunità a Marino. «A chi mi ama mi manifesterò» (Gv 14,21), dice Gesù. È stando con Lui, lasciandolo vivere in noi e tra di noi nella quotidianità della nostra vita che Egli potrà dirci una Parola che sarà un dono per noi, per la nostra vita e una luce per le situazioni.

La comprensione di ciò che Dio vuole da noi non può essere semplicemente il risultato di un ragionamento. Samuele sta dormendo. Il Signore, cioè, lo chiama quando la sua attività cerebrale non è sotto il controllo cosciente dell’intelligenza. Mi viene in mente un bel salmo che dice: “Invano vi alzate di buon mattino e tardi andate a riposare, il Signore ne darà ai suoi amicinel sonno” (127,2). È, quindi, fondamentalmente una questione di amicizia col Signore. Con questo non voglio essere banale o ingenuo; è chiaro che spesso le cose non sono semplici e che c’è un’azione laboriosa e a volte faticosa da fare; anche l’intelligenza illuminata ha una sua parte importante a servizio del discernimento e in vista della scelta.

Il secondo significato della notte che metto in evidenza è l’esperienza che si fa del buio: di notte non si vede e se sei per strada, hai bisogno di una luce per non perderti e per evitare di andare a sbattere. Credo che sia importante sottolineare anche questa seconda connotazione della notte legata alla chiamata di Samuele. Il testo comincia con una affermazione: “la Parola di Dio era rara in quei giorni”. Non credo che sia un caso il fatto che la Parola sia simboleggiata, tra l’altro, dalla luce. “Luce ai miei passi è la tua Parola” dice il salmo (118,105). Dire, quindi, che la Parola di Dio era rara in quei giorni equivale a dire che si era nel buio; era un modo per dire che “il popolo camminava nelle tenebre” (Is 9,1), che era sbandato, che non sapeva dove andare, non aveva una visione chiara dell’avvenire…; significa che c’era bisogno di qualcuno, di un profeta che riponesse sul lucerniere la lampada della Parola perché facesse luce a tutti.

È stata questa la missione che Dio ha affidato a Samuele. E fu questa anche la missione che, fin dal momento della vocazione, il Signore affidò all’apostolo Paolo. Nel racconto della sua vocazione si legge: “Per questo ti libererò dal popolo e dai pagani, ai quali ti mando ad aprir loro gli occhi, perché passino dalle tenebre alla luce...” (At 26,17-18). Tutti conosciamo lo zelo missionario di Paolo e l’elemento centrale della sua missione: annunciare Parola, il Vangelo di Cristo, da lui qualificato come «potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede» (Rm 1,16).

La serenità a cui ci invita il primo significato della notte che ho sottolineato non ha niente a che fare con il “prendersela comoda”; non ha a che fare neanche con la rassegnazione, col tirare i remi in barca, come forse avremmo la tentazione di fare, in una situazione come quella che viviamo nel mondo di oggi che, per certi aspetti, sembra riportarci ai tempi di Samuele quando la parola di Dio era rara… Al contrario, dovremmo chiederci cosa il Signore si aspetta da noi oggi, per poter essere un segno della sua luce in questo mondo che Egli non smette mai di amare.

A questo proposito potremmo dire tante cose, potremmo accennare al cammino che la Chiesa sta facendo, anche grazie al Sinodo, per continuare ad essere luce… Voglio, però, andare verso la conclusione. Desidero indicare un ultimo elemento della sinodalità che prendo dal Vangelo, anch’esso un elemento che ha molto a che fare con la vocazione oblata e, cioè, la vita dicomunione, dono dall’alto sulla comunità impegnata a vivere il comandamento nuovo di Gesù.

Per noi missionari la comunione è la garanzia dell’autenticità della vita e della missione. In essa vedo presenti tutti gli altri elementi dello stile sinodale che ho menzionato: l’ascolto, la partecipazione, il desiderio di discernere insieme le strade da percorrere mentre si cresce nella terra feconda di una vita evangelicamente vissuta…

Questa comunione non è solo una condizione per una per una più efficace azione missionaria, ma è anche la meta della missione stessa perché lascia intravvedere il disegno di Dio sull’umanità, la bellezza del vivere insieme, è profezia dell’attesa stessa del mondo che vive le doglie del parto.

Tutto questo dovrebbe farci riflettere sul senso di responsabilità che dovremmo sentire a questo riguardo.

Carissimo Jeikov grazie perché ti sei lasciato coinvolgere pienamente dall’invito di Gesù a seguirlo per la «cooperazione alla diffusione del Vangelo» (Fil 1,5) luce per le nostre vite; e grazie per la disponibilità a dare il tuo contributo nella costruzione della vita di comunione in Comunità e nella Chiesa per il Mondo intero.

Maria Immacolata col suo sorriso ti e ci faccia sperimentare sempre la sua amorevole presenza.