BEATI MARTIRI SPAGNOLI

Il 17 dicembre 2011, nella Cattedrale di Madrid dedicata a Maria, il delegato di Papa Benedetto XVI, mons. Antonio Amato, prefetto della Congregazione della Causa dei Santi, ha proclamato beati 22 missionari O.M.I. della Comunità dello scolasticato di Pozuelo della Provincia di Spagna e Candido Castan, un laico pa-dre di famiglia, uccisi in odio alla Fede, in Spagna nel 1936.
Il triennio 1936 -1939 fu un anno di sangue e di martirio per la Chiesa in Spagna. In quella persecuzione religiosa ci furono migliaia di persone che soffrirono mor-te violenta, torturati e fucilati esclusivamente perché erano credenti, indossava-no una veste o un abito, per essere sacerdoti o religiosi che esercitavano un’atti-vità pastorale nelle parrocchie, nelle scuole o negli ospedali, o per essere laici ferventi, compromessi per la propria fede in Gesù Cristo.
Così scrive p. Felipe Diez O.M.I., uno dei 16 oblati sopravvissuto all’esecuzione: “Quando stavamo per ‘gustare’ il momento nel quale stavano per ucciderci (mani in alto, viso alla parete), desideravamo pronunciare una qualche preghiera e non ci usciva alcuna parola; però ciò che usciva spontaneamente da noi erano sentimenti di amore verso Dio, di affetto verso i nostri fratelli e di perdono verso coloro che stavano per ucciderci, così come usciva una richiesta di perdono a Dio per i nostri peccati e le nostre fragilità”.

LA PRIMA COMUNITÀ CRISTIANA (ATTI DEGLI APOSTOLI 2, 42 -47)

42Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. 43Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. 44Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comu-ne; 45vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. 46Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, 47lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati.

UNA TESTIMONIANZA GIOVANE E COMUNITARIA

Riportiamo uno stralcio dei discorsi ufficiali pronunciati o scritti in occasione della beatificazione dei martiri spagnoli, già pubblicati nel numero 1/2 2012 della rivista Missioni O.M.I.
Ieri, a Madrid, sono stati proclamati beati 22 missionari Oblati di Maria Immacolata e un laico, uccisi in Spagna nel 1936 per il solo fatto di essere zelanti testimoni del Vangelo. Alla gioia per la loro beatificazione si unisce la speranza che il loro sacrificio porti ancora tanti frutti di conversione e di riconciliazione”. (Papa Benedetto XVI – Angelus di domenica 18 dicembre 2011)
Non erano delinquenti né avevano fatto alcunché di male, al contrario, il loro unico desiderio era fare del bene, e annunciare il Vangelo di Gesù che è buona notizia di pace, di gioia e di fraternità. Vogliamo ricordare i nomi dei religiosi oblati, perché la Chiesa ama e onora questi figli suoi considerandoli testimoni preziosi della bontà dell’esistenza umana che risponde alla brutalità dei persecutori e dei carnefici con la mitezza e il coraggio degli uomini forti. (S.E. Card. Angelo Amato, Prefetto della Congregazione dei Santi)
Ogni volta che rivivo la gioia che Sant’Eugenio ha sperimentato con la proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione, sono commosso. Immagino ora la sua gioia immensa per la beatificazione dei 22 martiri oblati. Lo vedo passeggiare per le vie del cielo, tutto orgoglioso, dando a tutti la buona notizia e conversando con i beati martiri… Insieme ai nostri 22 oblati troviamo anche un laico, sposato e padre di famiglia. É un segno del cielo e del carisma oblato “sempre vicini alla gente che serviamo”, che in questa beatificazione ci sia un laico, oltre agli Oblati. Un motivo in più per gioire. (P. Louis Lougen, Superiore Generale dei Missionari O.M.I.)
Arriva il giorno desiderato dopo 75 anni del martirio dei 22 oblati spagnoli. Per tutti noi è un momento emozionante. Abbiamo la gioia e il privilegio di vedere come la Chiesa, riconoscendo il martirio dei 22 oblati, li presenta a tutta la Chiesa come beati (benedetti). A partire da ora non sarà un semplice ricordo nella nostra memoria storica, nel nostro necrologio familiare. Per noi è un orgoglio, una grazia, una buona notizia, avere 22 martiri nella nostra famiglia oblata. (P. Otilio Largo, nel 2011 Provinciale OMI di Spagna)
I martiri ci ricordano con molta evidenza che la nascita in terra del Salvatore, diventa nascita al cielo dei discepoli. Per noi che siamo chiamati a continuare la missione del Salvatore si può parlare di rinascita in Cristo, di rinnovata corresponsabilità nell’opera della redenzione. (P. Nicola Parretta, nel 2011 Provinciale OMI d’Italia)

PERSEVERANZA NELLA COMUNITÀ

I 22 martiri oblati di Pozuelo attirano l’attenzione fondamentalmente per due motivi: per la loro giovinezza, poiché la maggior parte di loro erano giovani uomini tra i 18 e i 26 anni, e perché appartenevano praticamente tutti alla stessa comunità dello Scolasticato di Pozuelo. Erano giovani pieni di vita e di speranze, che sognavano una vita missionaria, dedicata a Dio e ai poveri nell’evangelizzazione. La loro esperienza sottolinea la perseveranza nella comunità sino alla fine. Nella testimonianza martiriale degli Oblati spicca lo spirito di comunità. Mentre, in altri casi, spesso ci concentriamo sulle virtù individuali di una persona, non è meno importante essere consapevoli della grazia che Dio riversa nella comunità, la cellula vivente del Corpo Mistico di Cristo. Studiando le fonti, è palpabile una crescita nell’unità e comunione tra di loro negli ultimi tempi prima della persecuzione. È come se Dio li preparasse per il martirio facendo in modo che fossero più uniti.
Diversi fatti nel loro racconto ci mostrano questo aspetto. La seconda notte durante la loro prigionia nella casa di Pozuelo, accadde un fatto che racconta lo stesso protagonista, lo scolastico sopravvissuto Antonio Jambrina: “Era arrivata l’ora di cena, e come la sera prima e a mezzogiorno, io e Justo González, accompagnati da un sorvegliante, andiamo al pozzo per tirar su acqua fresca per tutti. Quello che ci sorvegliava, fidandosi di noi, ci fa andare soli e ci aspetta vicino alla porta d’ingresso del convento; da lì crede di tenerci sempre sott’occhio, ma si sbaglia. Me ne accorgo perché anche noi lo teniamo d’occhio; credo sia arrivato il momento di scappare. […] Mentre Justo riempie le grandi caraffe, tento di con-vincerlo a seguirmi nella fuga, e mi metto a cavalcioni sul muro di cinta esterno; in quel punto fino a terra, sul lato della strada, non sono nemmeno due metri d’altezza. […] Quando ormai sono deciso a farlo da solo, mi dice con la voce rotta: «Se tu te ne vai ci fucileranno tutti». Rifletto per un istante, poi gli rispondo: «E no, non fucileranno nessuno per colpa mia. Che sia quel che Dio vuole». Tornai velocemente sui miei passi, scesi, mi calmai, e con le caraffe e il secchio pieni iniziammo a tornare verso il refettorio. Il mio ultimo tentativo di fuga era già finito/la mia ultima possibilità di fuga era svanita. La sorte dei miei fratelli sarebbe stata anche la mia”. Justo quella sera ebbe la possibilità di fuggire con Antonio Jambrina, ma non lo fece per salvare la comunità; fu fucilato quella stessa notte.
Possiamo quindi dire che gli Oblati di Pozuelo non sono solo martiri individualmente, ma una “comunità martire”, testimoni della comunione e della carità fraterna che il Fondatore ha lasciato loro come testamento spirituale.
La presenza tra i martiri anche di un laico, padre di famiglia, testimonia il legame forte tra religiosi e laici nel vivere nella condivisione dell’unico carisma di Sant’Eugenio de Mazenod, e questa testimonianza è una luce per tutti noi e per le nostre comunità, in particolare per le nostre comunità AMMI.

ESPERIENZA

Il 22 maggio 2021, dopo una serie di analisi cliniche fatte per approfondire l’origine e la causa di alcuni malesseri, mi viene detto di cercare una neurologa che si occupi di Sclerosi Multipla. Una doccia fredda, ed ora come faccio? E cosa vorrà dire tutto ciò concretamente? Il mio primo ed unico pensiero, mia figlia Maria Sole, una bimba di 8 anni. Contattata la neurologa inizio una serie interminabile di accertamenti sanitari. I primi giorni dalla notizia della malattia mi sentivo pietrificata, niente lasciava trasparire la mia angoscia di giorno, la notte invece piangevo e gridavo il mio dolore e le mie paure a Dio. Inizialmente ho tenuto questa notizia solo per me e mio marito ma ad un certo punto mi sono resa conto che non potevo continuare in quel modo, dovevo affrontare questo nuovo dolore e non da sola. Così ho iniziato a dirlo alla mia Comunità AMMI, chiedendo preghiere. I miei fratelli e sorelle della Comunità hanno iniziato non solo a pregare, ma a sostenermi con la loro presenza, con telefonate e messaggi. Miracolosamente il mio cuore ha cominciato a tranquillizzarsi, anzi riuscivo anche a confortare i miei familiari. Ma le prove non erano finite… Durante i vari accertamenti, ad alcuni dei quali ha assistito anche Lilli Bruno, amica e associata AMMI, i medici scoprono un “buco” nel mio cuore… Panico per tutti, ma non per me. Mi sentivo forte in Dio e così mi sono buttata tra le sue braccia. L’unica paura era per la mia bambina, ma io non volevo darle una mamma triste o turbata, volevo essere per lei una mamma FELICE. Mi consigliano un intervento chirurgico per risolvere il problema al cuore e così, nonostante la pandemia, i primi giorni di novembre 2021 mi ricovero in ospedale per affrontare questa prova. Il giorno del ricovero oltre a mio marito mi accompagnarono Lilly e Cettì, la Comunità era lì con me. Grazie alla loro presenza e unità mi ricoverai col sorriso. Ogni giorno facevano a gara per non farmi sentire sola ed impaurita. Cettì passava dalla cardiochirurgia quasi tutti i giorni. Una cardiologia mi disse un giorno: Annarita non abbiamo mai ricevuto tanto interesse per una paziente, hai tante persone che ti vogliono bene. Il 10 novembre scorso l’intervento; ancora una volta Lilly e Cettì erano lì insieme ai miei familiari per salutarmi prima di entrare in sala operatoria. Mi sono risvegliata dall’intervento in terapia intensiva, ed il primo saluto che ho ricevuto è stato quello di Cettì, che aveva chiamato per informarsi. Una vera e propria catena di amore.
Il mio “buco” nel cuore era di 3 centimetri. In ospedale stesso ringraziai Dio e lo benedissi per la Sclerosi Multipla, senza la quale non avrei scoperto il problema cardiologico. La Comunità mi ha sostenuta in tutti i modi, spiritualmente e concretamente, anche nel post operazione, con tanti consigli tecnici su come avviare il mio percorso di riabilitazione e sui farmaci prescritti. Tantissime le telefonate ricevute, alle quali non sempre sono riuscita a rispondere perché mi affaticavo. Poco prima di Natale Nunziella e Nino sono venuti a casa a trovarmi a nome di tutta la Comunità, facendosi anche provvidenza. Ho sperimentato la felicità nella croce restando fedele al mio Si a Dio nella Comunità. “Siamo come una cordata che cammina sul crinale”, siamo realmente la famiglia più bella ed unita della terra.
Annarita