Omelia in occasione dei primi voti di 
Davide Profeta, Francesco Falbo, Giovanni Ermilani e Riccardo Lorenzini.

Col 2,6-15 / Sal 144 (145) / Lc 6,12-19

  1. Carissimi tutti qui presenti, innanzitutto desidero dare il benvenuto a ciascuno di voi, in particolare ai familiari di Davide, Francesco, Giovanni e Riccardo che oggi si consacrano al Signore come Oblati.
  2. Le letture di oggi, che sono le letture del giorno liturgico, sono particolarmente adatte alla celebrazione che stiamo vivendo. In particolare, il Vangelo mette in evidenza il dato fondamentale di una scelta di speciale consacrazione, la chiamata. Gesù trascorre tutta la notte in preghiera e al mattino tra tutti i suoi discepoli «ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli». L’evangelista poteva omettere la parola “anche”, ma l’ha lasciata nel testo, a sottolineare che chi è chiamato a diventare apostolo (inviato, mandato) non smette di essere discepolo. Il discepolo, per definizione, è colui che segue il maestro, che ha una relazione con lui. Se gli apostoli restano discepoli allora vuol dire che anche essendo inviati, mandati, non possono vivere ed agire a prescindere dalla loro relazione col maestro. 

La finale del Vangelo, poi, più o meno esplicitamente, indica il motivo della chiamata: condividere con Gesù la sua amorevole cura per i poveri.

In sintesi: è il Signore che chiama a condividere la sua missione; le persone, nella loro libertà, rispondono coinvolgendosi in un’azione che sarà autentica nella misura in cui continueranno ad essere suoi discepoli.

  1. Nelle richieste che mi avete scritto per essere ammessi ai voti c’è una frase che si ripete in ognuna: «Sono consapevole degli obblighi derivanti dalla professione temporanea dei voti di castità, povertà e obbedienza e perseveranza con cui desidero consacrarmi al Signore nella vostra famiglia e li accetto liberamente senza alcuna costrizione…».

Oggi la parola obbligo ci fa un po’ impressione; non è un termine che vorremmo sentire. Allo stesso tempo capiamo l’importanza del dover adempiere alcuni obblighi se vogliamo vivere in una società che possa dirsi civile.

Bisogna, però, fare attenzione a che la nostra risposta al Signore che chiama non si trasformi in un atto volontaristico perché la vita diventerebbe molto complicata se non addirittura frustrante…

In genere, la prima impressione di fronte a ciò che il Signore ci chiede quando ci affida dei compiti è quella di non sentirsi all’altezza, al contrario, ci si sente carenti e fragili.

In questa situazione potrebbe intrufolarsi un pensiero che dice: “tu non ce la potrai fare….”. È un pensiero che ci fa perdere la serenità e la fiducia. Oppure ci potrebbe venire in mente il pensiero contrario: “ce la farai!”, come a lanciare una sfida a noi stessi per provare la nostra capacità.

Bisogna stare molto attenti nell’uno e nell’altro caso. L’inganno del nemico è quello di farci credere che tutto dipende da noi, dalla nostra volontà, dalle nostre forze, dai nostri sforzi. E siccome facciamo l’esperienza di cosa siamo capaci, a lungo andare ci scoraggiamo….

È chiaro che da soli (tu non ce la farai; tu ce la farai) non andremo molto lontano. Non è questa la posizione del credente che sa di non essere solo. Innanzitutto il Signore è sempre vicino, è sempre con noi, è l’Emanuele. Quando il Signore ci chiama, allo stesso tempo ci dice: “Non temere perché io sono con te” (Is 41,10), “io sarò con voi fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). 

E, insieme a Lui, ci sono i fratelli che con noi fanno lo stesso cammino: «Il fratello, aiutato dal fratello, è come una città fortificata», ci ricorda il libro dei Proverbi (18,19).

  1. Allora, concretamente, cosa fare per vivere con fiducia e fedeltà la chiamata?

Cercare e custodire Gesù, vivere in lui e lasciarlo vivere in noi e tra noi. Alcune immagini possono aiutarci a cogliere meglio questa realtà: costruire sulla roccia (e Lui è la roccia); abbeverarsi alla sorgente (e Lui è la sorgente); rimanere in Lui (e Lui è la vite da cui passa a noi la linfa)… . È quanto, in altre parole, invita a fare la prima lettura: “Fratelli, come avete accolto Cristo Gesù, il Signore, in lui camminate, radicati e costruiti su di lui, saldi nella fede come vi è stato insegnato, sovrabbondando nel rendimento di grazie”. 

Leggendo i Vangeli ci accorgiamo che sono tanti a cercare Gesù.  Alcuni lo fanno per toglierlo di mezzo, altri per curiosità, molti per avere un beneficio, altri per ascoltare la sua parola, altri per amore… . Riprendo qui il dialogo tra Gesù e i due discepoli di Giovanni Battista che si mettono a seguire Gesù. Alla domanda che Gesù rivolge loro: “Che cercate?” essi rispondono: “Maestro, dove abiti?”. Con questa domanda esprimono il desiderio di poter avere con lui una relazione stabile; sapendo dove abita, potranno trovarlo ogni volta che lo vorranno. 

Gli obblighi dei voti sono impegnativi, ma se c’è una relazione di amicizia col Signore, se facciamo esperienza che è Lui la vera fonte della nostra vita, l’unica acqua che veramente ci disseta, allora saremo capaci di consegnargli la nostra vita e assaporare la gioia di appartenere a Lui e di essere suoi cooperatori nell’annuncio del Vangelo ai poveri.

  1. Gesù risponde: “venite e vedrete”. Non indica un luogo preciso, non dà un indirizzo specifico. Non dice, ad esempio: nel tempio, o nella sinagoga… Lui abita lì dove si trova (per strada, nelle case, in sinagoga, sulla barca…) e lì dove ti trovi (io sarò con voi). Può capitare a tutti l’esperienza che ho fatto agli esercizi spirituali che ho avuto la gioia di vivere qualche settimana fa a Loreto: le ispirazioni più importanti le ho avute al letto la mattina appena sveglio, o per la strada per arrivare al mare mentre facevo una passeggiata, o mentre mi tagliavo la barba…

Per noi Oblati è chiaro che dobbiamo coltivare un rapporto con Gesù Eucarestia; ci è chiesto di vivere in modo da celebrarla degnamente ogni giorno (C 33), ma non dobbiamo perdere di vista che la stessa Eucarestia ci invita a cercarlo negli altri luoghi dove pure si nasconde:  nel cuore degli uomini o nelle situazioni della vita ordinaria” (C 31); come anche nella fraternità che è vero luogo teologico (C 3). Certo, vivere insieme non è facile; basta leggere con attenzione il brano del Vangelo di oggi e scendere un po’ più in profondità nella lista dei nomi dei chiamati per rendersi conto che la fraternità non è un dato scontato e previo, dato una volta per sempre; ma se, per l’impegno a vivere nell’amore scambievole, daremo la possibilità al Risorto di rendersi presente (Mt 18,20; 1 Gv 4,16) allora assaporeremo il gusto della vita del Cielo: «Ecco quanto è buono e quanto è soave
che i fratelli vivano insieme!» (Sal 133,1).

È questa l’esperienza che avete fatto in questi anni in Comunità, a Marino. Vivere nella comunione, per noi significa uscire dall’individualismo e scommettere sul «noi» per dare spazio a Lui. 

Papa Francesco parla esplicitamente di una “spiritualità del noi”. Tra l’altro, dice: «Gesù ha redento non solo il singolo individuo, ma anche la relazione sociale. Prendere sul serio questo fatto significa plasmare un volto nuovo della città degli uomini secondo il disegno d’amore di Dio» . E non siamo anche noi, come Oblati, coinvolti nel cooperare a plasmare questo nuovo volto della città degli uomini?

  1. Carissimi Davide, Francesco, Giovanni e Riccardo, benvenuti ufficialmente nella nostra famiglia religiosa dei Missionari Oblati di Maria Immacolata. Che il vostro ingresso accresca la fraternità e lo zelo apostolico che la caratterizzano e vi faccia sperimentare la gioia che il Signore promette. Il sorriso di Maria vi accompagni sempre.