Il rischio di chi guida una diocesi, una provincia religiosa, un’associazione religiosa o un ente ecclesiastico, è pensare che eliminando le fragilità di chi le compone, le attività e la missione possano procedere più speditamente. Si possono impegnare le migliori energie nel denunciare, smontare o evidenziare quanto non va o non si accorda con il Vangelo, con i principi e le regole. Il fatto è che quando ci sono uomini o donne a comporre un mosaico è molto probabile che convivano luci ed ombre, passione e miserie. E’ senz’altro comprensibile che chi svolge il servizio di governo debba parlare chiaramente su questioni e comportamenti a volte spiacevoli. Ed è anche chiaro che il male vada chiamato per nome e non confuso o annacquato con mille attenuanti. 

In realtà le mancanze non sono solo degli intoppi, ostacoli sul cammino. Sono un fattore che aiuta al realismo e all’umiltà. Allo stesso tempo riteniamo che il sistema più adeguato per un’azione contro il male (qualunque volto esso abbia) sia circondarlo e superarlo con il bene. Parlare sempre e solamente delle storture non serve a risolvere i problemi, ma conduce solo a sconfitta e depressione. Forse è più opportuno mettere a tema il bene, articolandolo e strutturandolo in modo che possa permanere e svilupparsi. Evidentemente non dobbiamo tacere sui necessari obblighi personali. Gli uomini e le donne “di Dio” hanno la responsabilità di custodire il dono ricevuto per essere strumenti di bene. E devono saper attingere alle risorse formative disponibili per rispondere sempre meglio alle chiamate di Dio purificando intenzioni e azioni. 

Da un punto di vista apostolico riteniamo necessari progetti missionari nuovi, semplici, audaci e comunitari dove lo Spirito sia libero di agire. Programmi di vita e di azione che nascano dall’ascolto della voce dei poveri e siano condivisi e promossi da consacrati e laici in una reale corresponsabilità. Limiti e fragilità li avremo sempre con noi, come anche avremo sempre in noi il desiderio di bene, di verità e di giustizia. La missione si fa con tutto e con tutti, non per eliminazione, ma per inclusione, dando fiducia alle persone anche se possono sbagliare. Del resto già gli apostoli, al tempo di Cristo, erano ricchi in fragilità: la loro generosità la superava e soprattutto la sorpassava l’amore salvifico del Maestro. Non vanno spese, dunque, energie solo per analizzare il negativo, ma per un impegno nella ricerca del bene attraverso l’ascolto e il dialogo, dandogli consistenza in proposizioni e progetti. “La fragilità ha bisogno di essere amata”, diceva Jean Vanier. Vale anche per i missionari.

(Editoriale di p. Pasquale Castrilli, tratto da Missioni OMI 6-7/2021)