Ieri p. Adriano metteva delle parole in bocca a S. Eugenio perché ci illuminasse in questi tempi di Covid. In realtà, la novità del nostro tempo non si riduce alla sola pandemia. Sulla linea di vari pensatori, p. Francesco, nel suo discorso alla Curia del 21/12/19, ha detto: “quella che stiamo vivendo non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma il cambiamento di un’epoca”. Questa frase non è solo un gioco di parole, ma una chiamata a guardare il nostro mondo con occhi diversi e ad entrarne in una comprensione della storia molto più profonda e “sapienziale” di quanto siamo abituati a fare. In quello stesso discorso il Papa ammonisce dicendo: “Capita spesso di vivere il cambiamento limitandosi a indossare un nuovo vestito, e poi rimanere in realtà come si era prima. Rammento l’espressione enigmatica, che si legge in un famoso romanzo italiano: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi” (ne Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa).”

Anche noi, Oblati della Provincia Mediterranea, piccola parte della grande Chiesa di Cristo, ci troviamo in questo dilemma: fare dei piccoli cambi superficiali, affinché, in fondo, tutto resti uguale a prima, o entrare nel tremendo e affascinante abisso di un cambio epocale con l’atteggiamento della “sentinella” (colui che vede le cose prima degli altri) o dell’esploratore (colui che si avventura in terre inesplorate).

Ho scelto il testo del Vangelo di Luca che abbiamo ascoltato (Lc 5,17―26) perché ci sono due elementi, soprattutto nella prima parte, che possono gettare un po’ di luce sul nostro modo di agire in un tempo di cambiamento epocale. Quegli uomini che portano il paralitico a Gesù, affinché questi lo guarisca, si trovano di fronte ad una difficoltà che non si aspettavano, e devono elaborare una strategia per raggiungere il loro obiettivo. Ciò che fanno, aprire cioè un buco nel tetto, è qualcosa che esce fuori dagli schemi convenzionali, ed è, per certi versi, qualcosa di “scorretto”, ma che alla fine porta i suoi risultati. A me sembra che la passione che hanno per la guarigione di questa persona, per portarlo a Gesù, per inventare insieme qualcosa di nuovo possa illuminarci, tanto nell’attività apostolica quanto nella vita religiosa comunitaria.

Se qualcuno ne ha voglia, e vuole correre il rischio di lanciarsi nel secondo atteggiamento ― quello della sentinella o dell’esploratore ―, dovrà necessariamente richiedere, come il Re Salomone all’inizio del suo regno: “un cuore saggio e intelligente” (1Re 3,12).

Gli spunti che darò di seguito hanno come elemento comune la ricerca della sapienza, una parola dalle profonde radici bibliche, di questi tempi forse un po’ troppo dimenticata, perfino nelle università teologiche, mi azzarderei a dire. Quando parlo di sapienza non mi riferisco al “sapere molto”, nel senso di “avere tante informazioni”; questa è una cosa che di sicuro non manca ai nostri tempi. E nemmeno mi riferisco al possedere diplomi, licenze, lauree o dottorati, cose tutte che non mancano ai nostri giovani studenti Oblati. Per “sapienza” intendo la capacità di “saper pensare”, di guardare la realtà in profondità, non solo di ripetere logori cliché o di copiare ciò che dicono gli altri.

Sant’Eugenio non era né un grande filosofo né un grande teologo, ma fu capace di andare ben al di là della prassi pastorale dell’epoca ed avere una visione missionaria che “anticipò i tempi moderni”, come disse Giovanni paolo II durante la canonizzazione. Anche noi siamo chiamati, per il carisma, ad essere “uomini dell’Avvento”, uomini cioè capaci di vedere al di là del presente, per buttarsi nel futuro.

Propongo, in vista di ciò, alcuni spunti nell’ottica della formazione permanente:

  1. Ritornare alle fonti della Tradizione. Può sembrare una contraddizione rispetto a quanto ho detto prima sulla necessità di cambiare, ma non lo è. La Tradizione non ha niente a che fare con il “tradizionalismo”. Curiosamente, quando qualcuno studia seriamente quelle che definiamo “le fonti” per noi Oblati (la Sacra Scrittura, Le CC.RR, i testi del Fondatore, la buona teologia vecchia e nuova…), la mente ed il cuore si allargano su nuovi orizzonti di libertà e creatività, che fanno andare oltre le situazioni e le circostanze del presente e superano le varie ideologie riduttive.
  2. Operare una lettura credente e profonda del mondo, della Chiesa, della vita religiosa di oggi. Papa Francesco, in quest’ottica, ci offre delle chiavi davvero interessanti nella Evangelii Gaudium, ai numeri 222-237: il tempo è superiore allo spazio, l’unità prevale sul conflitto, la realtà è più importante dell’idea, il tutto è superiore alla parte. Questa “lettura credente” deve essere universale, meditata, critica e a partire dall’amore. Nella nostra tradizione oblata abbiamo una prospettiva grandiosa: “Vediamo il mondo attraverso lo sguardo del Salvatore Crocifisso” (C.4).
  3. Cercare intuizioni nuove e sperimentare insieme. I 4 uomini del Vangelo che trasportano il paralitico pensano insieme e agiscono insieme. La nostra vocazione Oblata è una vocazione profondamente comunitaria, non solo perché viviamo insieme, ma perché insieme portiamo avanti la missione. A volte mi domando come intendono alcuni Oblati ciò che dice la C.37: “Noi compiamo la nostra missione nella comunità a cui apparteniamo e mediante essa”, visto che molti portano avanti il loro lavoro apostolico da soli. Un cambio d’epoca è necessariamente un tempo di sperimentazioni, senza troppe sicurezze. Pensare insieme in ottica sapienziale è un modo sicuro per trovare la luce dello Spirito Santo. C’è una grazia speciale nel discernimento comunitario quando questo si fa nel modo opportuno, così come c’è una grazia speciale nella missione condivisa “di fatto”, non solo “in comunione spirituale” con la comunità. In questo pensare ed agire insieme siamo chiamati, mi sembra, sempre di più a coinvolgere i laici che condividono il carisma oblato con noi, così come siamo chiamati a crescere nella comunione con altri membri della Chiesa.

È necessario dedicare tempo ed energie per acquisire questa sapienza, che ci verrà data poco a poco. Non bisogna avere fretta di programmare, o avere l’ansia per i numeri, né farsi dominare dalla paura o dall’apatia. Ci troveremo a vivere necessariamente un contesto di incertezza, di provvisorietà, di insicurezza, che dobbiamo imparare a vivere e accettare psicologicamente con serenità.

Ciò che ci spetta, adesso, come dice papa Francesco, è “iniziare processi”, “lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati”, perché “il tempo è superiore allo spazio”.

Meditazione di p. David López all’Assemblea Provinciale
10 febbraio 2021