Eugenio, la sua storia, la sua esperienza, ci interpella?

Paolo e la lontananza

Quanto a noi, fratelli, dopo poco tempo che eravamo separati da voi, di persona ma non col cuore, eravamo nell’impazienza di rivedere il vostro volto, tanto il nostro desiderio era vivo. Per questo, non potendo più resistere, mandai a prendere notizie sulla vostra fede, per timore che il tentatore vi avesse tentati e così diventasse vana la nostra fatica. Ma ora che è tornato Timòteo, e ci ha portato il lieto annunzio della vostra fede, della vostra carità e del ricordo sempre vivo che conservate di noi, desiderosi di vederci come noi lo siamo di vedere voi, ci sentiamo consolati, fratelli, a vostro riguardo, di tutta l’angoscia e tribolazione in cui eravamo per la vostra fede.
(I Tessalonicesi 2-3)

L’esperienza di Eugenio

Il periodo che stiamo vivendo ci porta a stare lontani, ostacola il desiderio di condividere le nostre vite e seguire i capisaldi del carisma cui sentiamo di appartenere: comunione e missione. Eppure il carisma, il dono di Eugenio, ci tiene comunque insieme. Ma come possiamo mantenere effettivamente viva tra di noi la comunione?
«Tra voi la carità, la carità, la carità». Questa carità ha tante sfumature. Una parola che la evoca è appartenenza; questo cammino ci fa sentire appartenenti gli uni agli altri, attraverso lo stile, attraverso le esperienze condivise che ci hanno fatto sentire a casa, attraverso il senso di famiglia che Eugenio ha voluto fortemente. Questo senso di appartenenza è un valore importante da non disperdere, un valore che, in un tempo come questo, richiede maggiore impegno.
Eugenio ha mai vissuto momenti assimilabili a questo, momenti nei quali era impossibile essere fisicamente vicini? La sua esperienza può essere fonte di inspirazione? Sì, per esempio quando la comunità oblata ha allargato gli orizzonti, uscendo da quelli francesi. Eugenio ha coltivato la sua appartenenza alla comunità in tanti modi, come dimostrano le numerose lettere che ci sono rimaste e che testimoniano quanto il legame con gli altri oblati per lui fosse importante. Quando cominciano le esperienze di comunità fuori, Eugenio invita continuamente i responsabili delle diverse realtà a tenersi collegati tra di loro e con lui. Formiamo una sola famiglia, scrive, «i cui componenti vogliono avere un cuor solo e un’anima sola». È l’aspetto fondamentale della comunità, e su questo pensiero egli torna di continuo. In una delle prime lettere a padre Tempier, scrive: «Tra noi missionari siamo quello che dobbiamo essere, cioè un cuore, un’anima, una mente: meraviglioso! Le nostre consolazioni sono come le nostre fatiche, senza misura». In un’atmosfera di mutuo sostegno tutte le difficoltà si appianano, anche se i membri sono dispersi in tutto il mondo.
L’altro aspetto è la preghiera. In un mondo senza mezzi immediati di comunicazione era attraverso la preghiera che Eugenio trovava la comunione con i membri della sua famiglia religiosa, quando era fisicamente separato da loro. «Siamo dunque sempre uniti nello stesso spirito, e pregate per me che vi ho amato per primo. Da parte mia m’interesso di voi sovente alla presenza del Signore, ed è dinanzi al suo cuore amabilissimo che vi do appuntamento (Lettera a Joseph Guibert, 19 Marzo 1823, EO VI n 97). Nella preghiera ci si ritrova uniti gli uni agli altri, malgrado le distanze che ci separano. «È l’unico modo di accorciare le distanze: ritrovarsi fianco a fianco. Non ci si vede, ma ci si sente vicini, ci si ascolta, ci si confonde in una massa medesima».
Accanto alla preghiera, è la presenza di Gesù che assicura l’unione. Eugenio lo definisce «il nostro comune amore»; così esorta: «stringetevi attorno al nostro buon Salvatore che abita in mezzo a voi […]». Costretto a vivere separato dagli Oblati li ricorda durante la Messa e così descrive l’azione di Gesù nella comunità: «ritroviamoci spesso in Gesù Cristo, nostro centro comune in cui tutti i nostri cuori si fondono e i nostri affetti si perfezionano».
Come possiamo coltivare l’appartenenza alla comunità quando ci viene richiesto di stare lontani? Essere un solo corpo; dedicare tempo alla preghiera e pregare gli uni per gli altri; ritrovarsi davanti a Gesù Salvatore.

Esperienze di comunità

È difficile sintetizzare le esperienze di 30 anni di appartenenza all’Ammi o sceglierne una in particolare… Darei, piuttosto, “voce” alla sensazione profonda che ha sempre caratterizzato la mia esperienza di associata: in ogni momento difficile da affrontare o decisione da prendere, la Comunità era presente. La scelta di farne parte, rinnovata ogni volta, dava forza e determinazione al mio essere testimone credibile in famiglia, a lavoro, ovunque. Una Comunità presente e viva in me grazie non tanto alla frequentazione, comunque sempre assidua, quanto al percorso spirituale e di famiglia condiviso con gli altri associati e aiutato, illuminato dai Padri Oblati che si sono succeduti negli anni. Alla Comunità di Roma non sono stati risparmiati grandi dolori che l’hanno fatta crescere. Uno fra tutti, il primo lutto: la morte di Gabriella, la moglie di Giorgetto. La nostra “lampada sul moggio”, scelta per dare un nome alla Comunità nascente di Roma e per caratterizzarla nel profondo con le qualità da lei possedute: fede incrollabile, gioia profonda, vera umiltà, immenso coraggio. Grazie Gabry!
Riguardo poi al periodo storico che stiamo vivendo in famiglia posso dire che probabilmente è assimilabile a quello che visse S. Eugenio quando, per stare accanto ai carcerati, si contagiò con una malattia che lo portò vicino alla morte. Egli sapeva bene che c’era il rischio di contagiarsi ma sentiva che era quella la strada da percorrere per vivere alla sequela di Gesù. Non sentiva di avere scelta. O magari c’era: abbandonare chi aveva bisogno di lui! E non l’ha fatto. Ecco, è ciò che sentiamo io e Carlo sin da marzo dello scorso anno e che sentiamo ancora oggi ogni volta che ci siamo messi, e ci mettiamo ancora, a disposizione per stare con i nipotini durante la chiusura delle scuole o quando non stanno bene o quando dobbiamo andarli a prendere a scuola. Sappiamo che può essere rischioso e facciamo il possibile per non esporci ma poi… sentiamo che questa è la strada che sentiamo di dover percorrere con coraggio e fede. Non sentiamo di avere scelta. O chissà, magari c’è! Abbandonare chi ha bisogno di noi e che metteresti in seria difficoltà. E allora una certezza ci invade dandoci la forza di “armarci e partire”: L’AMORE SI LEGA ALLA VITA PIÙ DI QUANTO LO FACCIA LA PAURA. E così continuiamo a fare la nostra parte contro il COVID ma anche per la VITA!
(Cristina)