Non si tratta di una ripartenza, ma di un cambiamento. Almeno questa è la sensazione in questi primi tempi dopo la fase cruciale dell’emergenza sanitaria da coronavirus che ha sconvolto il Pianeta, in particolare tra marzo e maggio. Il numero delle vittime è stato alto, soprattutto in alcune aree del Globo e della nostra Penisola. L’ansia è diventata sociale, il controllo frequente dell’andamento della curva pandemica, le reazioni a volte istintive di governanti nazionali, regionali e locali impotenti nel tenere a bada il virus… Anche nelle chiese ci sono state reazioni variegate tra mutismi, tentativi di interpretazione, confusioni comunicative. La novità della “pressione” esercitata dal virus è stata davvero impegnativa da gestire.

Qualcosa è cambiato nella vita personale e sociale e forse anche nella vita ecclesiale e missionaria. Tanti per la prima volta si sono trovati in situazioni simili a quelle vissute in occasioni di guerre, carestie e calamità naturali, quando si va all’essenziale dell’esistenza umana e ci si rende conto che tutto passa. Le nostre società tecnologiche e informatizzate che si arrendono davanti ad una situazione imprevista. E’ cambiato forse il modo di sentire la vita, di apprezzarla, anzitutto in noi stessi. E’ cambiato il modo di percepire gli altri, tenuti a distanza di sicurezza, ma sempre parte di noi. Abbiamo riscoperto le piccole attenzioni verso i familiari: un sorriso, affiancare i figli nello studio, una videochiamata… E’ cambiato il modo di percepire l’ambiente a cominciare da quello domestico: 50/70mq da ridividere, da reinventare per cercare gli spazi per ogni attività: lo studio, il lavoro, il riposo, l’attività motoria. E poi l’ambiente esterno che è molto migliorato per l’arresto degli scarichi industriali e dei mezzi di trasporto in terra, cielo e mare.

Ci vogliono gli schiaffi della vita per svegliarci e ridestare allo stesso tempo il meglio di noi: la solidarietà, l’incontro, l’umorismo. E’ un cambiamento che conviene mettere a fuoco per imparare anche da un tempo di disgrazia come quello vissuto. I missionari impegnati ad gentes ci raccontano storie di cambiamento nei paesi del Sud del mondo incredibilmente analoghe a quelle vissute in Italia e in Europa. La difficoltà delle chiusure e del rispetto delle norme comportamentali, la precarietà economica accentuata dall’emergenza, la solidarietà genuina. Riferiamo, in questo numero di Missioni OMI, specialmente del Senegal e delle Filippine dove i missionari hanno condiviso pienamente la sorte della gente. Ormai il mondo è una casa comune, c’è un’interdipendenza di fondo che non può essere più ignorata. Nel bene e nel male.

Editoriale di p. Pasquale Castrilli, tratto da Missioni OMI 08/09