STRUTTURE DI COMUNIONE
La parola di Dio
Dalla prima lettera dell’apostolo Paolo ai Corinzi (12,12-27)
Come il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito Ora il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra… Non può l’occhio dire alla mano: “Non ho bisogno di te”; né la testa ai piedi: “Non ho bisogno di voi”. Anzi quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie; e quelle parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggior rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggior decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha composto il corpo, conferendo maggior onore a ciò che ne mancava, perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte.
Per riflettere
Il brano della lettera di san Paolo ci ricorda che il popolo di Dio è come le membra di un unico Corpo. Le strutture di comunione, da quelle sinodali fino al piccolo consiglio pastorale parrocchiale, sono espressione di quel Corpo e tutte devono concorrere a rendere la Chiesa visibile su tutta la terra. Ogni struttura, come una cellula del corpo, non può vivere da sola, isolandosi dalle altre; ma può vivere solo in rapporto e comunione con le altre. L’apostolo Paolo, inoltre, invita i cristiani ad un amore vicendevole, a camminare verso una maggiore comunione ecclesiale come raccomanda Gesù nella preghiera dell’ultima cena: “Padre, ti prego per quelli che crederanno in me grazie alla parola dei miei discepoli: che siano una cosa sola, come tu Padre sei in me ed io sono in te, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21). «La Chiesa, che nasce dalla carità di Dio, è chiamata ad essere carità nella concretezza della vita quotidiana e dei rapporti reciproci fra tutti i suoi membri… La comunione è un altro nome della carità ecclesiale e solo una Chiesa comunione può essere soggetto credibile di evangelizzazione» (Evangelizzazione e Testimonianza della Carità, 27).
Oggi più che mai, nell’attuale contesto sociale frammentato e dispersivo, la comunità cristiana deve avere il compito di contribuire a generare stili di incontro e di comunicazione attraverso relazioni interpersonali attente a ogni persona, preferendo sempre la qualità del rapporto personale all’efficienza dei programmi. Spesso la comunicazione e la comunione interpersonale nelle parrocchie sono sacrificate a causa di una errata concezione di chiesa dispensatrice di servizi religiosi; oppure a causa della mancanza del senso di appartenenza ecclesiale; oppure a causa dell’attivismo e dell’efficientismo. Molti sforzi sono stati fatti per affermare la necessità di strutture ecclesiali dal Concilio Vaticano II, ma spesso si è rilevato che queste strutture dimenticassero di relazionarsi tra loro chiudendosi nell’illusione di essere autosufficienti (specialmente nelle realtà parrocchiali).
Cosa fare per evitare questo rischio: «La nostra programmazione pastorale non potrà non ispirarsi al “comandamento nuovo” che il Signore ci ha dato… Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione» (Novo Millennio Ineunte, 42).
Occorre fare tutti un cammino di conversione, la comunità, da struttura funzionale ed efficiente, deve diventare famiglia di famiglie, dove ci si incontra e ci si accoglie; dove si rinnova e si sperimenta il miracolo di Pentecoste: l’unità nella diversità, una famiglia in cui i credenti – preti, religiosi e laici – vivono e testimoniano rapporti freschi e sereni, liberi e gratuiti; comunità che accoglie le persone come sono e le aiuta a vivere esperienze significative di fraternità. Una comunità aperta ed accogliente, dove ognuno si trova a suo agio, dove l’ultimo è tenuto in maggiore considerazione, perché ha più bisogno degli altri, dove ciò che importa è la valorizzazione delle persone. Per diventare una “famiglia di famiglie”, è necessario che la parrocchia valorizzi le famiglie come “cellule” vitali corresponsabili, come battezzati, della missione della Chiesa e quindi affidare a loro il compito di portare nella parrocchia quel calore, quella accoglienza, quella fraternità, che fanno sentire a loro agio in parrocchia tutti i fedeli, anche i poco praticanti, anche coloro che sono ancora alla ricerca di Dio.
Le strutture di comunione nella vita della Chiesa hanno un valore importantissimo nel senso di rendere attuale il significato più profondo della presenza della Chiesa nella storia. La Lumen Gentium dice che “la Chiesa è sacramento, cioè segno e strumento in Cristo, dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (LG 1). Questa è una realtà concreta, quando la Chiesa diventa storicamente il segno e strumento efficace di questa comunione con Dio e di questa unità tra gli uomini, e ciò avviene là dove la comunione è vissuta, dove la Parola e l’Eucaristia sono tradotte in pratica nella carità reciproca e nel servizio agli uomini, e dove questo si esprime in una struttura della vita ecclesiale che è adeguata testimonianza di questa comunione.
Sembra urgente quindi aumentare la consapevolezza del valore della corresponsabilità elaborando anche modalità originali di uno stile ecclesiale di maturazione e di assunzione di responsabilità, offrire luoghi in cui consentire a ciascuno di vivere quella responsabilità ecclesiale che attiene alla propria vocazione. La partecipazione corale e organica di tutti i membri del popolo di Dio non è solo un obiettivo, ma la via per raggiungere la meta di una presenza evangelicamente trasparente e incisiva.
Dagli scritti di Sant’Eugenio
Lettera a p. Tempier, 12 agosto 1817.
«… Mai avevo sentito così forte il valore di quel “quanto è dolce e giocondo che i fratelli stiano insieme” (Sal 132). Me ne faccio un cruccio maggiore quando vedo che non a tutte le comunità è dato di gustare questa felicità rara in questo mondo, più di quanto si possa pensare. Chiediamo a Dio di conservarci questa preziosa benedizione che gli uomini potranno rubarci solo per colpa nostra… Per amor di Dio non cessate di predicare e di inculcare l’umiltà, l’abnegazione, il rinnegamento di sé e il disprezzo della stima degli uomini. Siano sempre questi i fondamenti della nostra piccola Società. È questo che, unito ad un autentico zelo per la gloria di Dio e la salvezza delle anime e alla più tenera e affettuosa carità tra noi, farà della nostra casa un paradiso in terra e la renderà solida e stabile più di tutti i regolamenti possibili».
Papa Francesco
Evangelii Gaudium nn. 98-99
All’interno del Popolo di Dio e nelle diverse comunità, quante guerre! Nel quartiere, nel posto di lavoro, quante guerre per invidie e gelosie, anche tra cristiani! La mondanità spirituale porta alcuni cristiani ad essere in guerra con altri cristiani che si frappongono alla loro ricerca di potere, di prestigio, di piacere o di sicurezza economica. Inoltre, alcuni smettono di vivere un’appartenenza cordiale alla Chiesa per alimentare uno spirito di contesa. Più che appartenere alla Chiesa intera, con la sua ricca varietà, appartengono a questo o quel gruppo che si sente differente o speciale.
Il mondo è lacerato dalle guerre e dalla violenza, o ferito da un diffuso individualismo che divide gli esseri umani e li pone l’uno contro l’altro ad inseguire il proprio benessere. In vari Paesi risorgono conflitti e vecchie divisioni che si credevano in parte superate. Ai cristiani di tutte le comunità del mondo desidero chiedere specialmente una testimonianza di comunione fraterna che diventi attraente e luminosa. Che tutti possano ammirare come vi prendete cura gli uni degli altri, come vi incoraggiate mutuamente e come vi accompagnate: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35). È quello che ha chiesto con intensa preghiera Gesù al Padre: «Siano una sola cosa … in noi … perché il mondo creda» (Gv 17,21). Attenzione alla tentazione dell’invidia! Siamo sulla stessa barca e andiamo verso lo stesso porto! Chiediamo la grazia di rallegrarci dei frutti degli altri, che sono di tutti.