Carissimi Confratelli Oblati, Consacrate e Laici della Famiglia Oblata,

tra qualche giorno celebreremo la festa del Natale, la festa della venuta del Figlio di Dio tra noi. Finiremo mai di sondare la profondità di questo mistero?

Immaginando di trovarmi davanti al Presepe mi fermo a contemplare il Bimbo Gesù nel desiderio di scoprire, guardando Lui, qualcosa in più di noi e del nostro essere missionari per vocazione. È un modo per attuare quanto Giovanni Paolo II scrisse nella lettera Redemptoris missio: «Il missionario deve essere “un contemplativo in azione”,… per poter dire come gli apostoli: “Ciò che noi abbiamo contemplato, ossia il Verbo della vita, noi lo annunziamo anche a voi” (1 Gv 1,1) » (RM 91).

Quali tratti della missione, il Verbo fatto carne, ci consegna? Condivido con voi tre elementi che mi sembrano importanti. Ovviamente se ne possono trovare tanti altri.

La missione nasce dalla comunione. Non riesco a pensare a Gesù che viene sulla terra in modo autonomo, senza una previa progettazione della sua missione nel seno della Trinità. E perché la cosa fosse chiara anche a noi, tante volte nel Vangelo Egli si qualifica come Colui che è stato mandato dal Padre. Per definizione egli è l’inviato, titolo che indica una relazione chiara ed esplicita tra Lui e Colui che invia, tanto che un giorno dirà a Filippo, uno degli apostoli: “Chi vede me, vede il Padre”. Nulla Gesù compie se non in comunione col Padre. 

Potremmo chiederci: da dove nasce la nostra missione? È frutto della comunione con il Signore e dell’accordo con i fratelli? È bella, a questo riguardo, la testimonianza che s. Paolo apostolo ci dà; si reca a Gerusalemme per incontrare gli apostoli e di quell’incontro poi riferisce: “Riconoscendo la grazia a me conferita, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Barnaba la loro destra in segno di comunione, perché noi andassimo verso i pagani ed essi verso i circoncisi” (Gal 2,9).

Le nostre Costituzioni e regole sono illuminanti, al riguardo: “Noi compiamo la nostra missione nella comunità a cui apparteniamo e mediante essa. Le nostre comunità hanno dunque un carattere apostolico” (C 37); “Ogni comunità…  stabilisce un progetto comune, affidato alla vigilanza del superiore, e organizza incontri regolari per celebrare il Signore, valutare la sua attività, rinnovarsi e rafforzarsi nei vincoli dell’unità” (C 38).

La tenerezza, espressione dell’amore che non fa distinzioni. Un bimbo è libero da ogni precomprensione nei confronti di chi lo avvicina. Il Bimbo Gesù è manifestazione di Dio che è umiltà, tenerezza, fonte di gioia, apertura incondizionata… A chi fa paura un bambino? Così il Bimbo per eccellenza non oppone resistenza e va in braccio a tutti senza distinzioni. A tutti si dà con fiducia; stimola le possibilità di bene che ci sono nell’uomo e le tira fuori come un bambino sa fare. La missione nasce dalla condivisione dello sguardo amoroso di Dio nei confronti dell’umanità bisognosa ed ha come destinatari tutti gli uomini. Papa Francesco ce lo ricorda: “Fedele al modello del Maestro, è vitale che oggi la Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura. La gioia del Vangelo è per tutto il popolo, non può escludere nessuno. Così l’annuncia l’angelo ai pastori di Betlemme: «Non temete, ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo» (Lc 2,10). L’Apocalisse parla di «un vangelo eterno da annunciare agli abitanti della terra e a ogni nazione, tribù, lingua e popolo» (Ap 14,6).

La creatività nella continuità. Gesù non nasce come un fungo nella storia di Israele. È l’atteso da secoli. I profeti avevano preannunziato la sua venuta. Eppure, allo stesso tempo, il Dio che si fa uomo è una cosa talmente inaudita che ancora oggi dovrebbe avere la forza di sbalordire. I Tre hanno avuto una bella “fantasia” decidendo l’incarnazione del Figlio perché, assumendo la nostra natura umana, noi potessimo poi condividere la loro vita divina. Anche noi siamo chiamati ad alimentare una “fantasia” missionaria, ad essere creativi, a non lasciare nulla di intentato, come direbbe s. Eugenio, «per suscitare e risvegliare la fede» (C 7) nel cuore della gente.

L’Immacolata, nostra mamma e patrona, ci insegni ad accogliere Gesù e a saperlo donare al mondo.

Ricordiamoci di pregare sempre gli uni per gli altri.

p. Gennaro Rosato omi
Superiore provinciale