Quando Gesù, dopo la sua resurrezione, entra per la prima volta nel cenacolo mostra ai discepoli il segno dei chiodi nelle sue mani e quello della lancia nel suo fianco. In quella esperienza emozionante di immensa felicità, egli fece il primo dono ai credenti, lo Spirito Santo, che fu dato come Spirito di misericordia: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati saranno rimessi» (Gv 20,22-23). Da quel momento i discepoli furono inviati, come lui, nel mondo a portare il perdono che viene dall’Alto, lo stesso che aveva reso vivo il suo corpo crocifisso e che ora, mediante loro, avrebbe curato e sanato il male e il dolore che avrebbero incontrato.

Tommaso quella sera non c’era e, per credere, ha bisogno di mettere il suo dito nel foro che i chiodi laceranti hanno prodotto sul corpo del Signore. Vuole toccare la ferita per constatare che sia quella di quello stesso uomo che è stato crocifisso e sapere se quel foro sia quello di un uomo vivo. La ferita sul corpo di Gesù doveva essere viva perché la resurrezione fosse un evento reale.

Sono importanti quei segni! Con la resurrezione c’è infatti un dolore che resta, pienamente trasfigurato, ma vivo, che continua a dirci che c’è ancora un vuoto che il dolore lascia in ognuno e che ha bisogno di essere colmato, sanato, per vivere pienamente il giorno del Signore.

Tommaso aveva bisogno, per questo, non solo di toccare quei fori, ma di entrarci dentro, sfiorare con le sue dita quel vuoto, quello spazio indelebile, che il dolore lascia, e ciò lo avrebbe rassicurato. Quando finalmente vide Gesù e questi lo invitò a toccare le sue ferite non ebbe più bisogno di farlo, gli bastò vederle per credere e capire che l’Amore aveva vinto, che quel vuoto lasciato dai chiodi non era qualcosa da toccare per constatare una verità, per accertarsi, ma uno spazio lasciato dal male e dal dolore a cui accostarsi ed entravi con amore e misericordia, non da incredulo, ma da credente.

p. Salvatore Franco omi