Cari fratelli e sorelle voglio anch’io dare innanzitutto il benvenuto a tutti voi; ai genitori e al fratello di Giovanni, alla zia di Joel, a quelli che vengono da più lontano, in particolare p. Marcel Thiaw, p. Jean Marie Ngor Séne, p. André Séne, e a tutti gli Oblati e sacerdoti presenti; ai membri della Famiglia Oblata e ai rappresentanti della Comunità senegalese; a tutti gli amici che hanno voluto essere con noi qui oggi.

Come sapete abbiamo da poco cominciato la Quaresima. 

Su cosa bisogna puntare l’attenzione nel cammino quaresimale? Di per sé non primariamente su ciò che noi dobbiamo fare e che in genere si traduce nel dedicare un po’ più di tempo alla preghiera, nel fare qualche opera buona, qualche piccola penitenza ecc. (tutte cose preziose da non perdere e che vanno fatte), quanto piuttosto su quello che il Signore ha fatto. La croce di Gesù, che adoreremo il Venerdì santo a conclusione della Quaresima, è ciò che come un faro luminosissimo getta luce su tutto il cammino che stiamo facendo. E cosa fa emergere questa luce? L’amore sanante, rigenerante, vivificante del Signore per noi. Abbiamo tanto bisogno di prenderne coscienza e questi 40 giorni sono il tempo opportuno per farlo.

Quello che stiamo vivendo in queste settimane a livello internazionale può darci un’idea della nostra situazione umana e della necessità di qualcuno che ci salvi; in particolare l’epidemia del coronavirus ci aiuta a capire cosa vuol dire Paolo nella seconda lettura: «Come dunque per la caduta di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera giusta di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione, che dà vita».

Sono molteplici gli effetti negativi e a volte devastanti del coronavirus a livello personale, sociale ed economico. 

Il peccato non è da meno. Chi vive sotto il dominio del peccato, pur se apparentemente  sembra condurre una vita normale, a tratti anche felice, in realtà sperimenta un senso di insoddisfazione, di pesantezza, di scontentezza, di mancanza di qualcosa; quando si cede alla tentazione o a quelle passioni che s. Paolo qualifica come ingannatrici, si ha un immediato piacere che però poi lascia l’amaro in bocca; ci si ritrova più facilmente nervosi e scontrosi o chiusi nei propri pensieri. È tutt’un imbroglio del diavolo che ci confonde facendoci desiderare ciò che alla fine ci danneggerà.

A livello sociale, poi, il peccato intacca innanzitutto la qualità delle relazioni con gli altri che restano così segnate dall’indifferenza, dalla diffidenza, dalla prepotenza, dall’arrivismo, dallo sfruttamento, dal razzismo, dalla brama di possesso, di successo, di potere… Il peccato contagia e crea danni.

In questa situazione di contaminazione Gesù Crocifisso è il “vaccino” benefico che porta la salvezza all’umanità infetta dal virus mortale del peccato. Eravamo tutti spacciati a causa del peccato di Adamo che si è propagato in tutti gli uomini. Ma poi è arrivato il Signore che, col suo offrire se stesso sulla croce, ci ha guariti immettendoci addirittura in una vita nuova e più bella di prima. E tutto questo perché? Semplicemente e sbalorditivamente per amore nostro (Gal 2,20).

È questo il Vangelo, la bella notizia di cui san Paolo sente di farsi annunciatore: «Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio» (1 Cor 1,23s), come a dire, tra l’altro, che il Crocifisso è sapienza infinita, sa come e cosa fare per realizzare il disegno di “bonifica”, di bene di Dio sul mondo e lo realizza perché è onnipotente.

Qual è la risposta dell’uomo  rispetto al dono che Gesù fa di sé sulla croce diventando, così, per noi, canale di vita? La fede. Chi crede che Gesù è veramente il Signore della storia, il Salvatore di tutti, e quindi anche il proprio Salvatore, sarà salvo. Una fede, naturalmente, che non resta su un piano teorico ma che si concretizza e opera attraverso la carità che è espressione della vita nuova in cui Cristo ci immette (cfr. Gal 5,6).

Detto questo c’è un’ ulteriore riflessione da fare: per Paolo gli effetti benefici dell’evento della croce si riverberano attraverso il ministero della predicazione. Lo dice chiaramente nella lettera ai Romani quando scrive: «non mi vergogno del vangelo, poiché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede» (Rm 1,16). 

Grazie al dono che Gesù ha fatto di sé sulla croce siamo purificati, redenti, rinnovati, salvati; potremmo dire, per restare nel tema di questi giorni: sulla Croce è stato prodotto l’antidoto al virus. Questo antidoto deve continuare ad essere conosciuto e somministrato. E come avanzerà questo processo? Per l’apostolo Paolo è chiaro: attraverso la predicazione del Vangelo. Spiega s. Paolo: «Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato. Ora, come potranno invocarlo senza aver prima creduto in lui? E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi? E come lo annunzieranno, senza essere prima inviati? Come sta scritto: Quanto son belli i piedi di coloro che recano un lieto annunzio di bene!» (Rm 10,13ss).

Ci troviamo oggi qui per accompagnare Joseph, Joel e Giovanni nel giorno della loro consacrazione definitiva al Signore. Ma perché si consacrano? Per la missione, perché come s. Paolo e come s. Eugenio, sentono che non possono tenere per sé il tesoro che hanno scoperto, la potenza sapiente del Crocifisso; avendone sperimentato i benefici vogliono dedicare la loro vita a farlo conoscere a tutti. Sono un po’ come i dispensatori dell’antidoto che vince l’epidemia.

Non per niente proprio oggi riceveranno il Crocifisso oblato del quale, al n. 63 delle nostre Costituzioni e regole, si dice: «La croce Oblata, ricevuta nel giorno della professione perpetua, ci ricorderà costantemente l’amore del Salvatore, che desidera attirare a sé tutti gli uomini e ci invia come suoi cooperatori».

È nella contemplazione della croce che impareranno ad avvicinare la gente ed in particolare i poveri così come la nostra Costituzione 4 spiega: «…Attraverso lo sguardo del Salvatore crocifisso vediamo il mondo riscattato dal suo sangue, nel desiderio che gli uomini, nei quali continua la sua passione, conoscano anche la potenza della sua risurrezione (cf. Fil 3,10)».

Per rispondere a questa chiamata alla missione come consacrati, Giovanni, Joseph e Joel si impegneranno ad assomigliare sempre più a Gesù, l’inviato del Padre, e a fare propria la sua stessa forma di vita attraverso la professione dei voti di povertà, castità, obbedienza e perseveranza.

Vogliamo augurare a questi nostri tre fratelli di poter sperimentare continuamente la forza trasformante del Vangelo. Assicuriamo a loro la nostra preghiera perché con la loro vita e la loro parola possano annunciare a tutti il Vangelo che salva, quel Vangelo che si dispiega pienamente nel volto del Crocifisso-risorto.

«A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen» (Ap 1,5s).