LA MIA POVERTÀ

…secondo la Parola

Ebbene, io vi dico: Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne. Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto.
Se dunque non siete stati fedeli nella disonesta ricchezza, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire a Dio e a mammona».
I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si beffavano di lui. Egli disse: «Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio.
(Lc 16, 9-15)

…secondo Papa Francesco

Due parole sono state dette che mi hanno colpito. Lei [operatrice del Centro di ascolto per stranieri] ha parlato di persone vulnerabili, di vulnerabilità. Mi sono accorto che Lei aveva trovato un rapporto con la vulnerabilità delle persone. E questo perché sa che anche Lei stessa è vulnerabile. La vulnerabilità ci accomuna tutti. Tutti siamo vulnerabili, e per lavorare nella Caritas bisogna riconoscere quella parola, ma riconoscerla fatta carne nel cuore. Venire a chiedere aiuto è dire: “Sono vulnerabile”; e aiutare bene, lo si fa soltanto a partire dalla propria vulnerabilità. È l’incontro di ferite diverse, di debolezze diverse, ma tutti siamo deboli, tutti siamo vulnerabili. Anche Dio ha voluto farsi vulnerabile per noi. È uno di noi e ha sofferto: non avere casa dove nascere, ha sofferto la persecuzione, scappare in un altro Paese, migrante; ha sofferto la povertà. Dio si è fatto vulnerabile. E per questo noi possiamo parlare con Gesù, perché è uno di noi!
E questa è la parola che ha detto don Benoni [Direttore Caritas Roma]: possiamo avere intimità con Gesù perché è uno di noi, itinerante. Camminare con Gesù nella vita, perché abbiamo la stessa carta d’identità: vulnerabili, amati e salvati da Dio. Questo è il cammino. Non si può fare l’aiuto ai poveri, non si può avvicinarsi ai poveri a distanza. Bisogna toccare, toccare le piaghe; sono le piaghe di Gesù. È misterioso: quando tu tocchi quella piaga, ti accorgi della tua. E questa è la grazia che ci danno i poveri, la grazia che ci dà la vulnerabilità dei poveri: sapere che anche noi siamo vulnerabili. Questo è bellissimo, perché significa che anche noi abbiamo bisogno di salvezza, abbiamo bisogno di qualcuno che ci dica una parola buona: i volontari, anche i preti… Tutti abbiamo bisogno di un fratello Gesù; abbiamo bisogno di quell’intimità itinerante, di camminare con Gesù.
(Papa Francesco, discorso durante la visita alla cittadella della Carità)

…secondo Tempier e Eugenio

Henri Tempier scriveva dalla difficile missione di Rognac:

Siamo arrivati nella notte di Sabato … e dopo due o tre chiamate, siamo tornati al nostro alloggio, dove non abbiamo trovato nulla. Abbiamo dovuto correre tutto intorno per trovare tre brutti materassi di paglia; lo stesso imbarazzo, e ancor più oltre, per trovare un paio di pagnotte di pane e la tariffa ordinaria. Il giorno dopo, venni a sapere che il Sindaco intese inserire le spese di soggiorno nei conti del comune; capite come effettivamente ciò ci avrebbe fatto sembrare grandi mangiatori. Ho subito scritto al sindaco che non volevamo il suo denaro, né il pane che aveva intenzione di farci acquistare a un prezzo così alto, ma che desideravamo solo la salvezza delle anime, che avremmo mangiato a nostre spese.
Credo davvero che il Sindaco non era a privo di buona volontà, ma queste brave persone sono povere … non avremmo potuto accettare quello che ci era stato offerto.
Quindi viviamo come apostoli. Non credo che il beato Liguori avrebbe trovato nulla di superfluo o nei nostri mobili, o nella nostra tariffa ordinaria: abbiamo dovuto lottare tre giorni per trovare una signora che era disposta a preparare il nostro pasto modesto, infine, ne abbiamo trovato uno, e siamo così felici con il nostro stile di vita, che se ci fosse solo questo, ringrazieremmo mille volte Dio per averci dato la possibilità di essere in grado, anche se a distanza, di seguire le orme dei santi e di essere missionari, una volta per tutte.
(Lettera di Henri Tempier a Eugenio de Mazenod, 16 Novembre 1819)

Eugenio li incoraggiava calorosamente:

Oh come vi trovo al vostro posto su un mucchio di paglia, e come la vostra mensa più che frugale stuzzica il mio appetito! A parer mio è la prima volta che abbiamo quel che ci tocca. Compite l’opera, e non accettate nulla da nessuno senza pagare; per questa volta non sarete certo sconfessati dal nostro santo patrono Alfonso dei Liguori. Oso parlare di sorte perché ve la invidio e, se dipendesse da me, la condividerei. Tuttavia vi prego di non farvi mancare il necessario. Avete una provvista di zucchero? P. Mye, che è molto raffreddato, non potrà farne a meno.
(Lettera a Henri Tempier, 16 Novembre 1819, EO VI n.47)

…secondo il mondo

“Meno male che sono arrivati quei due bravi ragazzi”, sospira Boubacar Kande, il diciannovenne senegalese picchiato da un gruppo di giovani sabato notte a Palermo. Quei due bravi ragazzi si chiamano Giorgio Rausa, 27 anni, e Corrado Luna, 28 anni: sono coloro che si sono fermati e, sfidando gli aggressori, hanno dato una mano al migrante.
“Per carità, non chiamateci eroi. Abbiamo fatto quello che dovevamo fare, abbiamo chiamato il 118, gli abbiamo dato una mano e lo abbiamo sottratto alla folla. Dopo anche altri si sono fatti avanti. Diciamolo subito”, è la premessa che fanno i due ragazzi. Non sono vanitosi, tutt’altro, non vogliono farsi pubblicità. Potendo, avrebbero scelto di restare anonimi, ma il nome, invece, ce lo mettono per principio. Perché loro certi insulti, proprio non li condividono. “Abbiamo visto una folla violenta che se la prendeva con Boubacar con pugni e calci. Lui ha avuto coraggio. Subito ci ha detto che lo avevano insultato per il suo colore della pelle, i soliti insulti che troppo spesso sentiamo”, racconta Giorgio, studente di psicologia, affiancato da Corrado che nella vita è istruttore di canottaggio.
Erano passati pochi minuti dopo la mezzanotte, la “folla violenta” invadeva la carreggiata di via Cavour. Le auto rallentavano e scansavano il capannello di persone. “È normale la paura, ce l’avevamo anche noi. Per fortuna siamo andati oltre”, dicono i due.
Ieri pomeriggio Giorgio e Corrado hanno accompagnato il ragazzo senegalese a presentare la denuncia. Sminuiscono, ancora una volta, il loro gesto. “Con Bouba è nata subito un’amicizia, era normale dargli una mano in commissariato”, sorridono, prima di abbracciarsi tutti e tre.
(La Repubblica, 11/02/2020)

…secondo la comunità

Da circa 3 o 4 anni con il Movimento Giovanile Costruire (M.G.C.) portiamo avanti un servizio di animazione (un semplice coro) durante la Santa Messa nel carcere di Prato. Io cerco di farlo una volta al mese e sempre in prossimità delle Feste (Natale e Pasqua).
Quindi anche quest’anno per la vigilia ero lì insieme ad altri 8/9 ragazzi per donare quel poco di libertà possibile. Solitamente non abbiamo molto tempo per fare le prove là dentro… ma martedì, per una serie di casi, abbiamo potuto stare un po’ insieme ai detenuti ed imparare un paio di ritornelli. Tra un canto e l’altro un ragazzo nigeriano che si chiama Goodnews ha detto: anche io conosco una bella canzone africana di chiesa che si chiama “I love you Jesus”. E ce l’ha fatta sentire: un canto tipico a cappella accompagnato solo dal battito delle mani. Bellissimo.
Dopo la comunione padre Enzo l’ha chiamato e gli ha chiesto di cantarla. Così ha iniziato e noi battevamo le mani a tempo con lui. Piano piano i ragazzi africani (tutti la conoscevano) hanno iniziato a cantare ed a tenere il tempo con lui e con noi…sempre di più fino ad arrivare a ballare e cantare. È stato un crescendo continuo e tutti ne siamo stati coinvolti! Senza rendercene conto eravamo in piedi uniti nel ballo e nel canto… sembrava di essere a casa loro… ma soprattutto sembrava di essere liberi. Io mi son messo a piangere ma non sono stato l’unico. Allora ho pensato, per la prima volta quest’anno, “è davvero Natale!”. Perché Gesù è nato in una grotta che, oltre a ricordarci la semplicità e l’essenziale, è un luogo senza porte e finestre magari per dirci ogni volta che siamo fatti per essere liberi.
Ecco… in un luogo pieno di porte, sbarre e guardie… in quel momento ho sentito che eravamo liberi tutti insieme. La “magia” del Natale (come quella della musica) forse è proprio questa: essere una lingua universale che abbatte tutte le porte e le finestre del nostro cuore spolverandoci l’Anima, facendoci sentire liberi.
(Thomas, esperienza sul servizio al carcere)