Carissimi Confratelli Oblati, Consacrate e Laici della Famiglia Oblata,

tra novembre e dicembre scorso ho avuto l’opportunità di andare a far visita alla nostra Delegazione del Senegal-Guinea Bissau. Ho potuto incontrare gli Oblati radunati a Dakar per la consueta assemblea annuale e ho potuto anche visitare alcuni posti di missione, soprattutto le nostre Comunità della Guinea. Il sentimento predominante è stato quello di ringraziare il Signore per ciò che compie attraverso questi nostri fratelli che danno la vita a Lui per il servizio dell’annuncio del Vangelo.

Più volte mi è capitato di celebrare la s. Messa nella nostra Parrocchia di Parcelles Assainies a Dakar. È un’esperienza sicuramente particolare vedere una Chiesa grande piena di gente durante le celebrazioni, ascoltare corali ben curate di decine e decine di persone che si alternano per l’animazione delle Messe, notare la compostezza e la partecipazione dei presenti disposti a restare per ore alle liturgie, specialmente quelle solenni…

Come evitare di fare il paragone con le nostre chiese qui in Europa? In questi anni segnati dalla pandemia abbiamo assistito ad un progressivo spopolamento, che sicuramente ha radici lontane, con un sentimento di frustrazione per non sapere bene cosa fare per incrementare le file dei credenti. Siamo quasi diventati esperti di analisi della situazione, ma questo non basta; la scarsezza dei risultati, ipotizzando l’impegno messo, ci mette di fronte ad una “crisi” che non possiamo nascondere. Da dove (ri)partire?

Quando si va in missione, la prima cosa per poter comunicare con gli altri è imparare la loro lingua. È quello che ha fatto Gesù, il Figlio di Dio, quando è venuto sulla terra. E non solo ha imparato una lingua ma, nel suo parlare agli altri, parlava in modo da farsi capire. Non è scontato, infatti, che pur parlando la stessa lingua ci si capisca. Questo presuppone, tra l’altro, una certa conoscenza dell’altro per potersi sintonizzare con lui. È un’attenzione necessaria che chi parla del Vangelo deve avere (Papa Francesco, Evangelii gaudium, nn. 156-159). A questo proposito anche s. Eugenio avrebbe da ricordarci qualcosa: “Non contenti di spezzare loro il pane della parola, dobbiamo sminuzzarglielo; in una parola, dobbiamo fare in modo che, sentita la nostra predicazione, non siano tentati di ammirare stoltamente ciò che non hanno capito ma se ne tornino edificati, profondamente colpiti, ammaestrati, in grado di ripetere in seno alla propria famiglia ciò che hanno imparato dalle nostre labbra”.

C’è poi un secondo modo per farsi capire, di comunicare un messaggio, quello che passa attraverso le scelte che facciamo e l’esempio che diamo. In missione è vero che può capitare di vedere parrocchie fiorentissime come quelle di Parcelle, ma poi ci sono i tanti posti di missione dispersi in grandi territori. Mi è capitato di sentire da uno dei nostri missionari in Senegal che ogni settimana si metteva in macchina per fare decine di chilometri per raggiungere una famiglia cattolica. Considerando la spesa della benzina e le condizioni delle strade che tante volte, soprattutto per raggiungere villaggi interni, sono disastrate, sarebbe lecito chiedersi se la spesa valel’impresa. E sembra proprio di sì, vedendo la generosità dei missionari. Questo, tra l’altro, apre uno spiraglio sul tema di ciò che viene prima in una azione missionaria: non è tanto preoccuparci di incrementare i numeri quanto il desiderio di incontrare le persone; e non perché diventino nostri seguaci, ma perché possano fare un’esperienza della vicinanza e della compagnia del Signore. Come ha fatto Gesù. La vicinanza è un linguaggio che tutti capiscono, qualsiasi sia la lingua che parlano.

Si potrebbero fare altri esempi di come comunicare a partire dalla vita della missione, ma vorrei concludere mettendo a fuoco da dove partire per poter comunicare il tesoro che abbiamo ricevuto, il Vangelo. Se lo chiedessimo all’apostolo Paolo, ci direbbe: “Sono stato conquistato da Cristo” (cfr. Fil 3,12). Il verbo conquistare è utilizzato almeno in due ambiti, quello militare e quello amoroso che, in Paolo, devono essere tenuti insieme: “sconfitto” da Cristo, l’essere stato da lui conquistato manifesta in positivo una liberazione che ha demolito i suoi blocchi e ha raggiunto il cuore. La vita cristiana non è una messa in atto di un insieme di pratiche da osservare ma una relazione vitale con Colui del quale, una volta incontrato, non si può più fare a meno. Di conseguenza, la missione è prima di tutto lasciar trasparire nelle mille pieghe del nostro esistere la luminosità del tesoro scoperto, che è diventato parte integrante della vita e fonte della nostra gioia. È il linguaggio tipico del cristiano, il primo che gli altri ascoltano.

Maria, rivestita della Parola, ci insegni a saper parlare agli altri di Gesù. Ricordiamoci di pregare sempre gli uni per gli altri.

p. Gennaro Rosato
Superiore provinciale