Carissimi Confratelli Oblati, Consacrate e Laici della Famiglia Oblata,

per scrivere questo pensiero iniziale mi sono ispirato alla celebrazione del decimo anniversario della beatificazione dei nostri martiri spagnoli (17 dicembre). Apparentemente sembrerebbe un tema lontano dalla festa del Natale, ma non è così. La festa di s. Stefano, primo martire, che si celebra in tutta la Chiesa il 26 dicembre, né è una prova concreta. Il Natale stesso ha contatti chiari con il mistero Pasquale di morte e resurrezione, se non altro per il fatto che Gesù è nato a Betlemme (= Casa del pane) e fu deposto in una mangiatoia. Come non fare immediatamente un collegamento con l’istituzione dell’Eucarestia, memoriale della Pasqua del Signore?

Il martirio è il modo più alto di mettere in pratica le parole che il Signore ha detto proprio durante l’istituzione dell’Eucarestia: «Fate questo in memoria di me», una frase che potremmo tradurre dicendo: nutriti del mio corpo e del mio sangue, donate anche voi la vostra vita per amore, e questo fatelo in memoria di me.

La vita cristiana in sé può essere qualificata “memoria” del Signore Gesù nella misura in cui si sforza di esserne la trasparenza: chi vede noi dovrebbe “vedere” Cristo.

La vita dei martiri è l’esempio massimo di dove può arrivare l’essere discepoli di Gesù e cioè fino a dare la vita concretamente, per amore del Signore e per amore dei fratelli.

Una vita vissuta così è una vita che porta frutto.

Quando pensiamo al perché Gesù fu messo a morte, potremmo trovare concreti motivi storici, politici, religiosi. E potremmo individuare persone specifiche che hanno fatto in modo che venisse condannato ed ucciso. Non possiamo, però, accontentarci semplicemente di questo livello di lettura dei fatti, un livello che si ferma alla cronaca. Dobbiamo sforzarci di scoprire cosa c’è dietro i fatti per scoprirne il significato profondo.

Se leggiamo i Vangeli ci accorgiamo di qualcosa di straordinario. Gesù, intravedendo la sua morte afferma: nessuno mi toglie la vita, sono io che la dono (cfr. Gv 10, 18). Gesù poteva sicuramente evitare la sua morte e non l’ha fatto; ha però trasformato quel momento da tragedia in un evento fecondo. Lo spiega bene in un altro passo del vangelo di Giovanni quando dice: «La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo» (Gv 16,21). Cosa è la croce se non il travaglio delle doglie del parto? Mi piace riportare qui un testo di s. Paolo dove viene presentato il frutto del dono che Gesù ha fatto di sé: «Grazie al sangue di Cristo (che richiama il momento della croce, le doglie del parto)… voi non siete più stranieri, né ospiti, ma concittadini dei santi e familiari di Dio» (Ef 2,13.19): la morte di Gesù ha generato noi a vita nuova.

I cristiani martiri, e anche i nostri Oblati martiri, sono i sicuri beneficiari di questo dono di Gesù scaturito dalla croce perché hanno testimoniato con la vita il loro essere diventati concittadini dei santi e familiari di Dio già qui in terra per manifestarlo poi per sempre in Cielo; essi sono coloro che, come dice il libro dell’Apocalisse, «hanno lavato le loro vesti rendendole candide nel sangue dell’Agnello» (Ap 7,14).

Allo stesso tempo, uniti a Gesù, anche il loro sacrificio è fecondo e porta vita. «Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani» scrisse lo scrittore cristiano Tertulliano.

E papa Francesco aggiunge: «Con il loro martirio, la loro testimonianza, con la loro sofferenza, anche dando la vita, offrendo la vita, seminano cristiani per il futuro e nelle altre Chiese»1.

Mi sembra molto indicativo il fatto che p. David López abbia intitolato il suo libro sui martiri spagnoli “Il sogno delle spighe”. Se il chicco di grano sa morire, porterà frutto; da lui nascerà una spiga e da quella spiga tante altre spighe che diventeranno pane buono per la vita del mondo.

In un certo senso è racchiuso qui il significato dell’Oblazione. Come Oblati, come persone che partecipano al carisma oblato, dovremmo saper morire, o meglio, saper donare la vita per amore, per essere poi portatori di vita lì dove Dio vorrà.

Come si fa a vivere la vita sapendo morire per essere generatori di vita? I nostri martiri ci insegnano almeno due cose che sono fondamentali.

Innanzitutto, ci insegnano che non potremmo far niente senza la comunione con Gesù. È molto indicativo il gesto che hanno fatto prima di essere costretti a lasciare lo Scolasticato di Pozuelo: hanno consumato tutte le Ostie, il Pane vivo dove realmente è presente il Signore risorto. Se sono arrivati a dare la vita è per la forza di quel Pane di cui erano abituati a nutrirsi. È in Lui, con Lui e per Lui che si può vivere un certo stile di vita; nutrirsi dell’Eucarestia è il canale per eccellenza attraverso cui si realizza il miracolo della comunione piena col Signore da cui si attinge vita, amore e forza. È l’Eucarestia, memoriale della Pasqua del Signore, che fa di noi i testimoni del segreto della vita espresso nelle parole di Gesù: «chi perde la propria vita per causa mia e del Vangelo la ritroverà». È l’Eucarestia, sacramento di comunione con Dio e con i fratelli, che permette di dare una testimonianza comune della vita del Vangelo vissuto fino all’ultimo, così come i nostri beati martiri ci hanno testimoniato.

Un secondo insegnamento è che la vita terrena è importante e che bisogna difenderne in tutti i modi la sua altissima dignità a prescindere dalla razza, dalla fede, dallo stato sociale e dalle convinzioni politiche. C’è qualcosa, però, di più importante che è la vita eterna. Senza la fede in questa vita che è offerta a tutti, non si capirebbero i martiri. Mi sembra molto significativo il fatto che proprio mentre venivano uccisi i nostri beati gridavano: viva Cristo Re! È stata la professione della loro fede in una vita che avvolge l’esistenza e la riveste di eternità. I potenti di questo mondo con i loro regni prima o poi passano. L’unico che resta per sempre è Cristo Gesù e il suo regno di giustizia, di gioia, di pace. È un Regno il cui Re ha esercitato la regalità in un modo inaudito dall’alto della croce da dove ha proclamato in modo inequivocabile il cuore del Vangelo: sono qui per te, per farti erede della mia stessa vita.

Accompagnati dal sorriso di Maria, per intercessione dei beati martiri Oblati, rinnoviamo anche noi l’impegno a vivere la nostra vita illuminata dal Carisma Oblato per continuare ad offrire al mondo il volto di una umanità che brilla della bellezza di Dio che attira e dà speranza.

Buon Natale e
Felice Anno nuovo a tutti

p. Gennaro Rosato
Superiore provinciale

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