I poveri ci evangelizzano

Nei precedenti appuntamenti ci è stata data la possibilità di riflettere e meditare sul tema dell’evangelizzazione, dei poveri e delle nostre fragilità, in questo mese vogliamo toccare un aspetto molto sottile della missionarietà: guardare ai poveri come i primi missionari per la nostra vita.
Papa Francesco, nel Messaggio per la II Giornata Mondiale dei Poveri del 2018, sottolinea che questi ci evangelizzano, aiutandoci a scoprire ogni giorno la bellezza del Vangelo.
In che modo un barbone mi edifica? In che cosa mi arricchisce la vicina di casa ammalata e sola? Quali emozioni muove l’odore, direi, la puzza di un poveraccio?
La nostra vita ha valore se dona, non se accumula. Le ferite del mio prossimo curate e amate mi permettono di fare spazio a nuovi sentimenti, di fare casa all’essenzialità, di mettere in pratica la compassione verso tutte le forme di povertà, partendo da quelle nostre più intime fino agli estremi confini della terra, proprio come Cristo ha fatto nella sua vita.

Gesù ha compassione della folla

Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità. Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore.
(Mt 9,35-36)

Evangelizzare è convertire

Chiediamoci quindi: “In che cosa l’incontro con i poveri ci converte?” Nelle Istruzioni sulla confessione della Quaresima del 1813 sant’Eugenio dice di essere

Chiamato per vocazione a essere servitore e prete dei poveri, al servizio dei quali vorrei essere in grado di dare tutta la mia vita, non posso essere insensibile nel vedere la premura dei poveri ad ascoltare la mia voce.

L’incontro con i poveri commuove l’animo di Eugenio che prova compassione, proprio come Gesù dinanzi alle folle stanche e sfinite dalle loro molteplici povertà. Dinanzi al grido di ogni povero, lasciato solo, emarginato, tradito, rifiutato, gli Oblati – e chi ne condivide il carisma – sono presi interiormente da una profonda commozione che li scuote, li interroga, li spinge ad amare e avvicinarsi all’uomo di oggi. Per essi tutto nasce dallo stesso sguardo di compassione che ebbe Gesù di fronte alle folle smarrite, senza pastore. (Cfr. S. FRANCO, Ministri di misericordia, Editrice Missionaria OMI, Napoli 2009, pp. 203-205)

Il carisma oblato è prima di tutto uno sguardo d’amore e di fede sul mondo […] uno sguardo che permette di vedere cose che altri non vedono […]. Guardo gli uomini e sono colpito dalle loro miserie, dalle loro povertà […] Questa miseria la percepisco in profondità e ne soffro come se fosse la mia.
Questa visione di fede, questo sguardo che ha l’Oblato sulla Chiesa e sul mondo non lo lascia indifferente. Provoca in lui una efficace volontà di darsi completamente per poter, poi, osare tutto e tutto tentare per liberare gli uomini dalla loro miseria e rivelare loro chi è Cristo.
(F. JETTÉ, Il missionario oblato di Maria Immacolata, Quaderni di Vermicino 22, Frascati 1989, p. 32)


La compassione suscitata dalla miseria umana apre le “dighe” delle nostre resistenze interiori e, rendendoci simili a Gesù, lascia fluire attraverso noi la misericordia di Dio. In questo modo l’Oblato, e il laico che si riconosce nel carisma demazenodiano, fa sua l’esperienza di “conversione” che fu di Sant’Eugenio fino alla fine della sua vita, quella di un cuore capace di commuoversi al cospetto del “povero dai molteplici volti”

Otto gennaio 1859. Torno da cresimare un’ammalata in via di l’ Echelle (la via del più miserabile quartiere) […] Era una gara di attenzioni perché non scivolassi, sorpresi che il vescovo non avesse a schifo tanta miseria. N’era rapita massimamente l’inferma: non sapeva la brava donna che io mi sentivo più felice di lei, in mezzo ai più poveri dei miei figli, e che la classe dei più miserabili è agli occhi miei più degna d’affetto che non i più ricchi e potenti del mondo.
(Diario, 1849-1860)


Ecco in che modo il povero può evangelizzare: aprendo e trasformando il nostro cuore, rendendolo simile a quello di Cristo. La «scuola dei poveri» è la scuola dove si apprende a essere come Gesù, dove si apprende ad essere strumenti della sua misericordia.

Testimonianze

Che cos’è la povertà?
Quante occasioni per amarla sorella povertà, ma anche quante volte abbiamo fatto finta di non vederla, abbiamo abbassato gli occhi perché incapaci di sostenere il suo di sguardo, nei volti e nei luoghi in cui abita, ma che ci sorprende anche nei luoghi più impensati.
Sono circa 4 anni che presto servizio di volontariato presso un’associazione che si occupa di poveri e di povertà di qualsiasi tipo essa sia. Costa fatica e tanta energia, accade una volta a settimana e la giornata inizia molto presto. Io mi occupo del servizio docce e vestiario.
Appena iniziai mi piaceva molto l’idea di poter portare il Vangelo e viverlo pienamente con questi miei amici che io chiamo scherzosamente “diversamente fortunati”.
Il Signore però ti sorprende sempre, ti regala un cuore nuovo e poi ti dice di amare, di farlo sempre e di farlo sempre per primo, ti dice di sfruttare ogni occasione anche le più disparate (ed in questi luoghi se ne vivono tante) cercando di trasformarle in occasioni per amare.
Dio si nasconde in questi volti, in molti dei sorrisi di questi uomini e di queste donne con alle spalle tante storie forti di povertà (fame, freddo, malattie, senza fissa dimora talvolta senza saper né leggere né scrivere).
Loro però, i “diversamente fortunati”, hanno una capacità che li accomuna e li rende unici allo stesso tempo: amano e lo fanno partendo dalle piccole cose, regalandoti la luce della propria anima che bussa ai cuori anche quelli più contriti, anche quelli induriti dalla sofferenza, ma anche ai più distratti dalle cose della terra.

In questo momento storico difficile, ognuno di noi avverte prepotente il proprio limite, a volte la propria inutilità. Ma proprio questo tempo ci offre l’opportunità della riflessione, facendo spazio allo Spirito Santo che agisce silenzioso dentro di noi, o almeno per chi è alla ricerca di sé e di Dio.
Quante sere sono andata a letto dicendo al Signore di non avere niente da offrirgli, di essere a mani vuote e pensavo ai ragazzi dell’associazione dove faccio volontariato, o ai giovanissimi, alla comunità. Ma un evento doloroso mi ha costretta a fermarmi e a dare una giusta risposta alla mia sofferenza del momento. La perdita della mia zietta, donna sola, senza poterle regalare un ultimo sorriso di commiato. Ho provato dentro di me un profondo rammarico, quello di non avere speso più tempo per starle vicina. Sentire la sua mano stringere la mia con la sua debole forza, contenta di comunicarmi la gioia della mia presenza. Guardare i suoi occhi illuminarsi nel raccontare le storie di sempre, memoria dei suoi anni ormai lontani. Le sue tenerezze, insomma. Nei momenti che ritagliavo per stare con lei pensavo di essere io ad offrire a lei il mio tempo, ma solo oggi sono consapevole che quella che ricevevo ero io, era lei a dare a me.
Mi risuonano forti i versi di San Francesco D’Assisi: “Oh Maestro, fa che io non cerchi tanto di essere compreso quanto di comprendere, di essere amato, quanto di amare. Poiché è dando, che si riceve, perdonando che si è perdonati, morendo che si risuscita a Vita Eterna.”
È solo aprendo il cuore all’altro, senza calcoli, senza pregiudizi, accogliendolo con lo stesso amore che il Padre ha per lui, che guardi con occhi nuovi e ti rendi conto che non è quanto si è dato e si è fatto che conta ma la quantità di amore con la quale hai operato anche perché è sempre l’altro che ti sorprende e ti cambia il cuore. Padre Mario Borzaga scriveva, nell’ultimo periodo difficile della sua vita da missionario: “Oh, se sapessi attendere ognuno che viene a trovarmi come si attende la visita dell’amato! – ad ognuno che arriva alla mia porta gli dico in cuore: ‘O Gesù, io ti amo in questo mio fratello, per la Sua sofferenza ti domando di perdonare i miei peccati […] perché tutti i miei fratelli hanno diritto al mio Amore’ ”.
È donando che riceviamo amore.