Le tensioni diplomatiche tra Corea del Nord e Stati Uniti nel corso del 2017 hanno destato l’attenzione e la preoccupazione del mondo intero. Nei delicati equilibri geopolitici l’acceso dibattito Pyongyang-Washington ha riacceso lo spettro di un conflitto mondiale. Dio non voglia che questo tragico traguardo sia raggiunto. Gli orrori che le guerre portano con sé sono terribili e le ferite restano profonde nell’identità dei popoli. L’impegno di mediazione per favorire distensione e dialogo è urgente e necessario. Da una parte la superpotenza statunitense accusata di essere il “poliziotto del mondo”, dall’altra uno stato che presenta numerosi problemi tra cui povertà e mancanza di sufficiente assistenza sanitaria soprattutto contro la tubercolosi che ogni anno miete centinaia di vittime anche tra i giovani.

La chiesa sudcoreana con discrezione e chiarezza ha avvertito urgente, già da parecchio tempo, il compito di impegnarsi per tenere i contatti con i cattolici del nord e contribuire a tessere pace e riconciliazione tra le due Coree. C’è una strada diplomatica che è necessario percorrere, ma anche una più informale fatta di rapporti soprattutto tra componenti di nuclei familiari che vivono separati nei due stati dopo la divisione risalente alla fine del secondo conflitto mondiale e alla guerra coreana (1950-1953). Il governo nordcoreano ha preso su questo argomento impegni formali per favorire la riunificazione temporanea delle famiglie, spesso disattesi. Stessa cosa per quanto riguarda il permesso concesso a sacerdoti del sud di recarsi nel nord in occasione del Natale e della Pasqua, permesso accordato nel dicembre 2015 e contraddetto da alcune successive restrizioni.

L’impegno di carità a favore dei settori più disagiati della popolazione nordcoreana, gli anziani, i poveri, le giovani generazioni, le persone colpite dalla tubercolosi, resta pressante per i cristiani. Una solidarietà che va al di là delle divisioni e delle ideologie. È significativo, e anche decisivo, il lavoro della Fondazione Eugene Bell di cui parliamo in questo numero di Missioni OMI. Un impegno che parte da lontano e che si è gradualmente specializzato in un settore molto delicato e impegnativo: la cura della tubercolosi resistente ai farmaci. Con responsabilità e generosità, i volontari della fondazione portano aiuti regolarmente ai villaggi remoti dove le persone vivono con difficoltà e rischiano una morte prematura. Una solidarietà spesso impo- tente che diventa segno di speranza per un futuro migliore.

(Editoriale di p. Pasquale Castrilli, da Missioni OMI 1-2/2018)