Carissimi Confratelli Oblati e Laici Associati,

Da quasi due mesi il Venezuela fa notizia per lo scontro in atto tra la popolazione, scesa in piazza per protestare contro la grave crisi socio-economica che da anni sta impoverendo il paese, e le forze militari, schierate a sostegno del governo del presidente. Il conflitto tra le parti, che si è fatto drammatico in queste ultime settimane per la carenza di generi alimentari, ha già provocato una cinquantina di morti.

La grave situazione preoccupa da vicino anche noi, visto che in Venezuela sono presenti gli Oblati, impegnati in tre zone del Paese: Mons. Ramiro Diaz, p. José Manuel Cicuendez e p. Nené Tasar a Katia la Mar, a circa trenta chilometri dalla capitale Caracas; p. Javier Álvarez e p. Vidal Fuente Vega a Santa Barbara, nello Stato di Barinas, dove attualmente è molto forte la protesta e dove in questi ultimi giorni ci sono stati dei morti; p. Sante Ronchi, p. Rafael Wleklak, p. Giovanny Nova Delgado e due ventenni in formazione a San Cristóbal, capoluogo dello Stato di Táchira, posta sulle Ande venezuelane nella parte occidentale del paese.

Proprio oggi ho sentito via skype padre Javier Álvarez, superiore della Missione, che mi ha rassicurato sulla condizione di vita degli Oblati, anche se non ha nascosto la gravità della situazione che potrebbe ulteriormente degenerare nella violenza.

Invito tutti gli Oblati e i Laici Associati a pregare per la nazione venezuelana, per la Chiesa, che si sforza di svolgere un’azione di mediazione a favore della pace e della riconciliazione tra le forze politiche, e per gli Oblati che stanno condividendo le difficili condizioni della popolazione.

Frascati, Casa provinciale, 27 maggio 2017

Padre Alberto Gnemmi, omi (Provinciale)


Di seguito, possiamo leggere quanto ci ha comunicato in questi giorni via whatsapp padre Álvarez sulla situazione del paese. Successivamente, potremo leggere un breve resoconto di padre Adriano Titone, Procuratore delle Missioni Estere, relativo al viaggio che lo ha portato per dieci giorni, dal 15 al 25 maggio, in Venezuela, in visita alle comunità oblate di San Cristóbal e Catia La Mar, impossibilitato, invece, a recarsi nella cittadina di Santa Barbara per i blocchi stradali imposti dal governo.

Da P. Javier Álvarez Lodeiro OMI – Relazione del 17 maggio 2017

Il Paese sta protestando da 47 giorni, ma a Santa Barbara de Barinas, dove c’erano state solo alcune timide marce contro il governo, non ne avevamo risentito. L’aggravarsi del conflitto a Socopó, area centrale più influente e popolata, distante 60 chilometri, ha provocato però una forte reazione a Santa Barbara. Causa della passività di Santa Barbara non è il numero di chavisti, sempre più in netta minoranza, ma la presenza dei “Boliches”, gruppi di guerriglia bolivariana ideata da Chavez per controllare le zone rurali, seguendo il modello della Colombia.

Martedì 16, nel pomeriggio, si è mobilitato un gruppo per continuare lo sciopero nazionale che lunedì non aveva avuto un impatto efficace sul territorio, invitando i commercianti a chiudere. Più tardi sono andati sulla strada nazionale per bloccare il traffico. Improvvisamente il comune di Zamora, roccaforte chavista, si era rivoltato contro coloro che pensavano di averlo sotto controllo.

Martedì è stato tranquillo. Senza guardie o polizia che l’affrontasse, senza i “colectivos” o “boliches”, la gente, dopo aver manifestato, si è ritirata all’ora prevista, contenta di essersi fatta sentire nonostante le minacce.

Oggi, mercoledì, quasi senza sapere da dove provenisse, senza poterne capire la strategia, il panorama è cambiato. Improvvisamente, ecco di nuovo i negozi chiusi, molti neppure han tentato di aprirli, accogliendo l’invito a chiudere fino al prossimo lunedì; hanno fatto così anche molte scuole. E la “signora” sindaco ha lanciato per radio la sua arringa in favore della pace, tipico discorso di chi ha il potere e non chiama ad unirsi, ma minaccia velatamente. Erano appena le undici del mattino quando i manifestanti hanno chiuso di nuovo le strade sotto lo sguardo delle guardie ben attrezzate per la giornata. Nel suo discorso, la “Signora” ha affermato che alcune scuole superiori avevano lasciato liberi gli studenti, facendo ricadere sui direttori la responsabilità di quanto sarebbe potuto succedere. Mentre segnalava dettagliatamente molti di coloro che stavano manifestando, sapendo che questo è un paesino dove tutti si conoscono, intendeva suscitare timore per le possibili rappresaglie. Concludeva dicendo che lei non era responsabile di quello che sarebbe potuto accadere ai ragazzi.

Sui social correva la notizia che il principale consigliere di opposizione aveva raccolto, dopo le dichiarazioni alla radio, alcune affermazioni del Sindaco, dove invitava i “colectivos” ad aggredire i manifestanti.

L’hanno fatto, e come! Neanche un’ora dopo l’arringa del sindaco, c’erano già i primi feriti. Secondo le testimonianze raccolte dai presenti, un gruppo di persone arrivate in moto e ben armate hanno cominciato a minacciare i ragazzi, sparando gas lacrimogeni, picchiando la gente, portando via almeno sei giovani, sotto lo sguardo impassibile e complice della Guardia Nazionale Bolivariana.

Tre ragazzi sono stati portati all’ospedale locale “Rafael Rangel”, due con ferite superficiali alla testa e uno colpito all’occhio da pallettoni e portato poi in una clinica dai familiari. Il ragazzo ha perso un occhio, senza altre conseguenze. Degli ostaggi portati fuori dal paese, due sono stati rilasciati perché uno di loro è figlio di un militare, ma erano malconci.

Si sente dire che a livello nazionale il governo prepara la fase due del piano chiamato “Zamora” per reprimere le manifestazioni, che consisterebbe nel lasciare liberi di agire questi gruppi armati per creare caos e confusione e porre fine alla protesta. Il terzo livello di questo piano sarebbe la guerra civile.

Purtroppo l’aria che si respira tra la gente è tipica di una guerra civile; famiglie che si conoscono da sempre, ora si affrontano a causa delle opposte posizioni politiche. Oggi una nostra laica associata mi ha detto che aveva pianto nel vedere tra gente armata amici e conoscenti. Il paese è diviso, creando distanze che, umanamente parlando, stanno diventando incolmabili.

Sopraggiunge la notte. I “Boliches” minacciano leader e gente di spicco della comunità per intimidirli. Nel vicino villaggio El Canton, hanno incendiato il camion del capo di Volontà Popolare, partito del più famoso prigioniero politico Leopoldo López, minacciandolo di morte se fosse uscito di casa. Ora protestano per questo abuso, cosa che potrà portare a cattive conseguenze. Così si comporta la guerriglia in tutto il mondo. All’alba ci si può facilmente trovare con vari morti.

Concludo con l’invito a pregare per la pace. Domani, alle 4 del pomeriggio, ci incontreremo davanti al Santissimo Sacramento per pregare per la pace e la riconciliazione in Venezuela. Vi sentiremo spiritualmente accanto a noi.

Relazione del 24 maggio 2017 – Clima di tensione, clima di pre-guerra

Carissimi fratelli,
eccomi con altre notizie sulla situazione del Venezuela.

Il 22, lunedì, abbiamo assistito a molti atti di protesta e saccheggi nella città di Barinas, capitale dello Stato in cui vivo, e in molti dei suoi comuni. Il bilancio delle vittime solo nella nostra regione è di circa dieci morti (qualcuno dice dodici). Lunedì c’è stato qualcosa di veramente nuovo, mai registrato finora: le forze dell’ordine hanno sparato sui manifestanti con vere armi da fuoco. Finora i morti erano dovuti a gas lacrimogeni o proiettili lanciati da armi speciali. Anche se ci sono sempre state un certo numero di vittime di armi da fuoco, erano attribuite a delle bande armate simpatizzanti del governo o dovute ai saccheggi. In questi giorni le forze dell’ordine hanno ucciso civili con proiettili veri.

La gente di Barinas, esasperata da questi fatti, in un sol giorno ha distrutto la sede del CNE (Corte elettorale), una stazione di polizia e un posto di blocco, ha incendiato la casa di famiglia di Chavez e la sede del PSUV, del PDVSA, dell’IAVEB; ha fatto irruzione nel distaccamento 14 della Guardia nazionale, impadronendosi delle armi. Hanno anche sequestrato un veicolo blindato anti-sommossa.

La rabbia sfrenata non ha causato solo manifestazioni di protesta ma è degenerata in saccheggi di centri commerciali e negozi, che molti dicono provocati dal governo. Martedì pomeriggio si è allertata la popolazione, perché il nuovo comandante della Guardia ha mandato dei cecchini a stroncare proteste e saccheggi. Oltre ai cinque morti di lunedì, si parla di dodici in due giorni, solo a Barinas.

A Santa Barbara le cose non vanno meglio! Gli animi sono esasperati dalla situazione di mercoledì scorso. Le manifestazioni di protesta sono quasi inesistenti in paese, controllato dai gruppi di Guerriglia bolivariana, chiamati “Boliches”, che poco dopo gli eventi di mercoledì, ha consegnato ai vari negozi e a molti agricoltori un opuscolo con minacce a chi promuove manifestazioni, violente secondo loro. Si minaccia i genitori con rappresaglie contro i loro figli e viceversa. Ora i veri padroni del villaggio sono loro, i Boliches, con l’approvazione del sindaco, che li protegge.

Lunedì, alcuni residenti sono stati portati via dai guerriglieri accusati di aver collaborato con i manifestanti, nascondendoli nelle loro case quando i boliches li inseguivano. Anche molti dei nostri amici e laici impegnati nella Chiesa sono bloccati in casa per paura di essere arrestati. E ci sono ancora due persone sotto inchiesta e detenute a Socopó, ma presto si spera possano essere rilasciate dietro pagamento di una cauzione. Nello zaino di uno di loro dove c’erano pietre e bottiglie con acqua e aceto per i gas, le guardie hanno aggiunto bombe, coltelli e altre armi.

In questa situazione, non potendone più di umiliazioni e di questo governo, molti pensano a soluzioni per farla finita con i Boliches. Ci sono voci di contatti con i paramilitari colombiani per affrontarli. Ciò provocherebbe certamente un bagno di sangue tra questi gruppi e senz’altro anche rappresaglie per la gente del paese, lasciata ulteriormente in balia dei paramilitari. Ieri sera si diceva fossero arrivati i soldati paracadutisti. Questa mattina si sentivano degli spari, ma ancora non si sa nulla di qualche scontro armato.

D’altra parte, il paese è diviso tra il processo di cambio costituzionale guidato frettolosamente da Maduro, ma ritenuto dall’opposizione come una vera frode e colpo di stato, come una nuova cortina di fumo che comprenderebbe la convocazione di nuove elezioni per governatori e sindaci con data di presentazione… a dicembre. Una presa in giro all’intelligenza.

Oggi affidiamo a Maria, Aiuto dei Cristiani, questa dolorosa e angosciosa situazione del Venezuela, mentre ringrazio il Signore per avermi permesso di celebrare oggi 25 anni di sacerdozio: “Ti ringraziamo d’averci giudicati degni di stare alla tua presenza e di servirti”.

Continuate a pregare per il Venezuela, il futuro è molto incerto; a governanti e potenti non importa della gente, ma solo mantenere il proprio potere.

Da padre Adriano Titone, omi – Frascati, 26 maggio 2017

Sono rientrato ieri dal Venezuela, una delle missioni della Provincia Mediterranea affidate al mio ministero di Procuratore delle Missioni Estere. La situazione critica che vive il paese e che degenera rapidamente, mi ha convinto a organizzare una visita al solo scopo di far sentire ai confratelli e alle comunità che svolgono il ministero in tre luoghi distinti la nostra vicinanza e il nostro sostegno.

Richiamo alla memoria un po’ della storia della nostra Missione. Dalla Spagna, gli Oblati sono arrivati in Venezuela nel 1990. Da Casigua al Cubo a Nord Ovest del Paese, vicino al grande lago Maracaibo, hanno presto aperto un’altra missione a Palo Gordo, vicino a San Cristóbal nello stato del Táchira. Nel 1997, il primo superiore della missione, P. Ramiro Díaz, è consacrato vescovo e nominato Vicario Apostolico di Machiquez non lontano da Casigua. Dieci anni dopo si avvia una nuova missione a Santa Barbara, nello stato di Barinas. Dal settembre 2015 siamo presenti anche a Catia La Mar, nello Stato di Vargas vicino a Caracas. Attualmente gli Oblati in Venezuela sono otto, di cinque nazionalità: un venezuelano, quattro spagnoli, un congolese, un polacco e un italiano.

Un po’ di cronaca del mio viaggio. Dodici ore di aereo mi hanno portato a Catia La Mar, dove ho potuto subito visitare la nostra missione.

Fervevano i lavori nella nuova chiesa appena terminata: uomini, donne, giovani a fissare il grande crocifisso dietro l’altare, a dipingere le ultime pareti … Poi in comunità, dove mi sono fermato solo alcune ore nella notte per ripartire alle prime ore dell’alba, verso il Sud-Ovest del paese. Sono venuti a prendermi i padri Sante e Giovanny. Il tragitto fino a Palo Gordo ci ha visto cambiare itinerario due volte a causa dei blocchi stradali fatti dalla gente in protesta contro un governo che usa molto la parola democrazia, ma che si avvale dell’esercito per mettere a tacere le proteste.

Sono stato volentieri con i tre confratelli di Palo Gordo: Sante Ronchi, Rafal Wleklak e Giovanny Nova e i due giovani che stanno facendo con loro un’esperienza vocazionale. Poche le attività a causa della situazione: chiuse le scuole, poca possibilità di muoversi … Ho comunque celebrato in tutte le cappelle della parrocchia. Ogni mattina alle ore 6 la comunità si riuniva per la Messa, seguita da una marcia pacifica per dare visibilità esterna alla preghiera e all’impegno della Chiesa per la pace in Venezuela.

Qui a Palo Gordo ho vissuto un bellissimo incontro con la famiglia Oblata: più di trenta laici e giovani pienamente coinvolti nella vita del nostro carisma missionario. Avevano tutti tanta voglia di conoscere le attività della Provincia e della Procura con tutte le nostre missioni.

Non ho potuto recarmi a Santa Barbara, dove vivono i padri Javier Álvarez e Vidal Fuente Vega, a causa dei blocchi stradali e della grave insicurezza. Con loro sono rimasto in contatto via telefono o whatsapp (benedetti i mezzi di comunicazione)!

Sono rientrato a Catia La Mar il 21 maggio, festa del nostro Fondatore. Nel pomeriggio sono stato presente all’inaugurazione della nuova chiesa con un popolo numeroso di fedeli, parecchi sacerdoti e tre vescovi tra cui l’oblato mons. Ramiro Díaz, che, da quando ha lasciato la guida della chiesa di Machiquez per raggiunti limiti di età, vive in questa comunità oblata con ammirevole semplicità. Il Vescovo della Diocesi, La Guaira, Mons. Raúl Biord Castillo, salesiano, lo ha nominato Vicario per la Vita Consacrata e lo coinvolge per l’insegnamento, la predicazione e per conferire il sacramento della cresima.

Quanto alla situazione politica e socio-economica del paese non mi dilungo: la tensione sale progressivamente e c’è ragione di preoccuparsi per l’avvenire. La gente è stanca di una povertà causata solo dal malgoverno. Si fanno code di ore per il pane, per il carburante, etc. Un paese ricco di tutto è stato reso povero dall’ingordigia di pochi. E questo non potrà continuare a lungo. Anche la Conferenza Episcopale Venezuelana, come pure quella dell’America Latina, ha preso posizione esplicita per la pace e la riconciliazione, ma anche contro le ultime scelte del presidente, che ha convocato un’Assemblea Nazionale Costituente, che non farà altro che rinviare la soluzione di ogni problema, rischiando solo di peggiorare la situazione.

P. Adriano Titone, omi