Carissimi Confratelli Oblati e Laici Associati,

Scrivo questa pagina a pochi giorni dai fatti terribili di Nizza, dove, ancora una volta, la follia del male ha portato la morte nella vita di tanti innocenti. Lasciando sgomento il mondo (ma non corriamo il rischio di abituarci a sciagure come queste?). In molti si sono sfogati con il solito adagio: “Ma dov’è Dio?”. Possibile che l’Eterno permetta che la follia omicida di alcuni sia la causa della morte e del dolore di tanti innocenti? Per non parlare dello sconcerto che si prova quando si pensa che così tanta violenza terroristica (mi riferisco alle azioni efferate dell’Isis) venga da uomini che si dicono credenti, che sostengono di operare in nome di Dio, di agire secondo la sua volontà. Sembra che venga annullato lo sforzo di voler indicare le religioni, specie quelle rivelate, come percorsi di umanizzazione, di salvezza dal male, di entità in grado di offrire un valido contributo al progresso morale, alla pace e alla giustizia nella storia dei popoli.

Del resto, da parecchio tempo, faccio fatica a stare in ascolto di un qualsiasi notiziario per i troppi racconti di vicende belliche e terroristiche, di annegamenti di massa di fuggitivi disperati su barconi, di rifugiati da vestire e sfamare, di cronaca nera, di corruzione e scandali d’ogni genere. Anche l’evento Brexit, meramente politico, mi è parso come un fatto negativo per il nostro Continente, anche se ancora di più ha messo a nudo la fragilità dell’Unione Europea che, in questi ultimi decenni, si è mossa quasi esclusivamente su elementi di finanza e di economia, tralasciando ideali politici e valori morali e sociali necessari per una più convinta coesione tra gli Stati membri.

Questo è ciò che si muove sulla scena della storia odierna. Ma c’è anche dell’altro che, in modo più avvolgente, ha a che fare con la nostra maniera di vivere, di pensare e, soprattutto, di credere e che tocca lo spazio dell’etica e, dunque, i nostri comportamenti. A cosa mi riferisco? Rispondo con una riflessione: l’impressione che si ha, che cresce sempre più nella coscienza di tutti, anche dei credenti, è quella di vivere in una “società liquida” – come si esprime il pensatore Zygmunt Bauman -, dove è in crisi ogni entità che unifica attraverso valori oggettivi (stato, chiesa, partiti, associazioni, comunità) e dove, per conseguenza, si afferma un individualismo sfrenato, dove ognuno va per la propria strada, diffidando dell’altro. Mancando punti di riferimento, tutto “sembra dissolversi in una sorta di liquidità”: ciò che conta è affermare il proprio io, la propria opinione; ciò che vale è rivendicare la propria libertà da tutto, difendere e ottenere ciò che piace, che dà godimento, esaltando un consumismo che soddisfi ogni istinto e desiderio immediato. Nella società liquida la fede in Dio non è considerata, visto che non si cerca alcuna verità assoluta o un qualche senso trascendente della vita; tantomeno si accetta di essere salvati da “qualcun altro”, visto che nuocerebbe solo alla propria libertà. Il filosofo Umberto Galimberti descrive lo scenario esistenziale come una realtà sotto lo scacco di una cultura nichilistica, dove si assiste alla perdita di “ogni valore oggettivo; perdita di valore di ogni valore”. La conseguenza è tragica in particolare per la dimensione religiosa di ogni collettività che va ad assottigliarsi sempre più, venendo meno la tensione alla ricerca dei significati dell’esistenza e di altre istanze di natura etica che possono ispirare dei percorsi morali condivisi.

Senza fare l’intellettuale – semplicemente, perché non lo sono, anche se intellettuali dovremmo aspirare ad esserlo almeno un po’ tutti per potere saper leggere in profondità quanto si muove intorno a noi -, ritengo che se c’è una parola che simboleggia il tempo presente, soprattutto per noi occidentali, una parola che esprime il malessere generale che affiora nella società, questa è “declino o decadenza”.

In un libro molto bello del 2006, dal titolo “L’eclisse dell’Europa. Decadenza di una civiltà”, il sociologo Sabino Acquaviva elencava le ragioni di questo declino che, lo si voglia o no, ci influenza e coinvolge: disgregazione sociale e impoverimento psicologico e ideale delle classi giovanili; eclissi dei valori, della religione, del cristianesimo, della scuola, dei principi morali sui quali per secoli si è retta la società; ancora, crisi dell’identità economica, tramonto dell’imprenditorialità e del binomio religione e sviluppo. L’autore descrive il nostro mondo come scettico, senza ideali, di spensierati edonisti, che assiste inerte alla drammatica eclissi della propria civiltà.

Mi chiedo: è così? Allora, dove stiamo andando, dove vogliamo andare? Ma l’interrogativo è ancora più concreto: come vivere da cristiani questo tempo, affinché non venga meno la capacità di sperare, guardando al futuro, visto che, oggi come ieri, “mala tempora currunt”?

Indubbio che non esistono risposte confezionate ed univoche. Credo che, da cristiani con il vangelo in mano, dobbiamo batterci per non perdere la gioia di vivere, di stare al mondo e nel mondo con chi ci è accanto, tenendo lo sguardo rivolto a Dio, a quel Dio presente nella storia, che ama l’umanità e che non vuole che cada nel male. Dobbiamo lasciarci provocare dalle domande che scaturiscono dalla nostra coscienza quando questa è messa in rapporto con il senso della vita, della morte, con gli interrogativi sul bene e sul male. Dobbiamo tenere la barra dritta sulla preghiera, su un rapporto aperto con il Dio vivente, con il Dio presente nella storia che ama e salva. Fedeli al Dio fedele e buono, dobbiamo tenere duro sul volere una vita buona, che opera per la felicità degli altri, per dare conforto, consolazione a chi è in difficoltà. Una vita buona che si mantenga irrequieta di fronte ai tanti nostri egoismi, per ritrovare lo slancio dell’altruismo, della condivisione, dell’amicizia, nonché della semplicità e della normalità nelle relazioni con gli altri, certi che Dio con il suo amore accompagna i nostri passi.

In altre parole, dobbiamo amare e così spereremo. Non siamo cristiani? E perché cristiani, profeti, responsabili nel cogliere nel mistero di questo mondo, che talvolta sembra ferito da un male troppo spesso, un mistero ancora più profondo, quello di un amore salvifico scaturito dal Dio della croce.

Il pensatore Martin Buber (1878 – 1965) diceva: “Il profeta è colui che tiene lo sguardo fisso verso il Dio che viene”; una eco perfetta della definizione di cristiano del gesuita Pierre Teilhard de Chardin (1881 – 1955): colui che attende. Nonostante tutto, malgrado tutto. Ma è in questa attesa che possiamo vivere con bontà e fiducia la vita. Non pochi uomini e donne, anche non pochi credenti, vivono così.

Frascati, Casa provinciale, 23 luglio 2016 Santa Brigida, Patrona d’Europa

In J.C. et M. I.,
vostro fratello, padre Alberto Gnemmi, omi
(Provinciale)