Domenica della SS Trinità – Anno C

È difficile spiegare la Trinità. Ed è un paradosso: si tratta della verità basilare della nostra fede! Però possiamo provare a tradurre la Trinità in 3 parole: “Dio è amore”. Tre parole come il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo. “Dio è amore”: è questa la verità principale, dalla quale poi deriva ogni altra cosa che noi possiamo dire su Dio.
Se leggiamo il catechismo, troviamo tanti attributi per descrivere Dio: Dio è Creatore, Dio è onnipotente, Dio è onnipresente, Dio è onnisciente… ma Dio è tutte queste cose, in fondo, perché è amore! Cioè: non è amore perché è onnipotente, ma è onnipotente perché è amore.

“Dio è amore”: soggetto, predicato e complemento. Tre parole a cui corrispondono i tre della Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo.
Il Padre, Dio, il soggetto: l’origine, la fonte dell’amore. Il Padre è l’origine di tutto, dall’eternità; l’amore primigenio e originale, la scintilla d’amore che scocca dall’eternità. L’amore da cui ogni altro amore deriva. Il principio primo.
Il Padre è l’idea originaria di Dio, il primo volto attraverso cui gli uomini hanno intuito qualcosa di Dio.
Un amore così forte che genera un altro amore, che è il Figlio. Non è una questione di tempo, di “prima” e “dopo”: è un processo che dura dall’eternità. Il Figlio è Colui che il Padre ama dall’eternità, l’oggetto della sua compiacenza, il bersaglio su cui tutto questo amore che il Padre è, si scarica e si riversa.
Il Figlio è il predicato, il Verbo. È colui che rende evidente il Padre, che ce lo mostra, che ci fa vedere concretamente questo Padre, questo Dio, chi “è”. È il suo riflesso fedele, è lo specchio in cui il Padre si riflette e attraverso cui noi possiamo capire il Padre. Questo amore eterno si rende visibile a noi quando decide di prendere carne, di diventare come noi. “Chi vede me vede il Padre”, dice Gesù. Se volete capire Lui, guardate a me. Io, concretamente, vi mostro cosa significa l’amore di Dio.
La terza parola, il “complemento”, lo Spirito Santo. L’amore perfetto, perché è l’amore con cui il Padre e il Figlio si amano eternamente. L’amore che intercorre tra di loro. Un amore senza pause, senza titubanze, senza riserve, senza paure, tutto riversato nell’altro. Un amore così perfetto e solido che addirittura diventa una terza persona, egli stesso Dio.
Il Padre ama il Figlio, il Figlio riama e si butta nel Padre, e questo amore immenso diventa la terza persona, lo Spirito Santo. I tre creano un circolo d’amore indissolubile, un vortice mai interrotto. Un movimento a cascata, come dice anche il Vangelo.
Un amore che, quasi non bastandosi, si butta fuori di se stesso proponendosi al di fuori. Ecco l’uomo. Un partner a cui Dio ha voluto far entrare e sperimentare questo amore.
Quello che era l’amore dentro di sé, Dio lo riversa fuori di sé, amando l’uomo con lo stesso amore.

Come Dio SI ama, così Dio CI ama.
E ci invita a riprendere questo amore e cercare di riviverlo, da creature, con tutti i limiti che abbiamo, tra di noi.
Questa cosa però la capiamo solo se ci mettiamo dentro quel vortice. O l’amore che noi tanto vogliamo, aneliamo, inseguiamo, attinge da quell’amore, o noi metteremo in atto un amore sempre imperfetto, a cui mancherà qualcosa. Avremo un desiderio grande (perché, in fondo, anche noi siamo impastati di amore), che rischia di rimanere frustrato. Non lo capiremo mai l’amore, lo cercheremo, ma senza trovarlo, se non entriamo nella logica d’amore di quei tre.
Quel che ci sfugge, è che noi siamo derivazione di questo amore; da lì proveniamo, lì siamo nati, e solo se a quell’amore ci rifacciamo noi avremo veramente senso.
Questo è il fine dell’uomo: entrare in questo mistero.

Ci fu un uomo che in questo mistero ci è entrato, ha guardato dentro, ha capito (perché da questo amore si è fatto raggiungere), e si chiama Eugenio.
Eugenio de Mazenod era da sempre un “buon cristiano”. Integerrimo e preciso, rispettoso di ogni norma e precetto. Ma non aveva tuttavia conosciuto profondamente quell’amore Trinitario. Lo incontrò, Eugenio, e ne restò sconvolto. La sua conversione non fu dal passare dall’essere un grande peccatore ad un santo. No, lui passò dall’essere “semplicemente” un buon cristiano (ma quanto può essere “buono” un cristiano senza questo amore???) ad un cristiano vero, un uomo in cui questo amore appiccò il fuoco della passione. Eugenio entrò in questo vortice, e non ne uscì più. Anzi, non si diede pace, da allora in poi, all’idea che sulla terra c’erano ancora uomini che questa cosa non la conoscevano. La missione, dunque… andare in tutto il mondo a predicare questo amore, perché non è pensabile che qualcuno ne rimanga fuori, che non conosca la fonte di questa felicità. Questa cosa la dovevano sapere tutti!
Fu così sconvolgente questa esperienza, che lo segnò a vita. E si mise in testa di voler (non di “dover”) rispondere a questo amore. Un giorno scrisse una preghiera straordinaria, che trasudava il desiderio e la pretesa di voler amare Dio con quello stesso amore. Con il Suo stesso Amore.
Mio Dio, raddoppia, triplica, centuplica le mie forze perché io possa amarti non solo secondo le mie possibilità, che sono nulla, ma tanto quanto ti hanno amato i Santi, tanto quanto ti ha amato e ti ama la tua santissima Madre. Mio Dio, non basta. E perché non potrei amarti quanto ti ami tu stesso?. È impossibile, lo so, ma il desiderio non è impossibile, dato che io lo sento con tutta la sincerità del cuore, di tutta l’anima mia. Sì, mio Signore, io vorrei amarti quanto ti ami tu stesso!
Presunzione superba o passione pura? I posteri l’ardua sentenza l’hanno data: Eugenio è santo.