“In quei giorni, in Antiòchia, un gran numero credette e si convertì al Signore. Questa notizia giunse agli
orecchi della Chiesa di Gerusalemme e mandarono Bàrnaba ad Antiòchia. Quando questi giunse e vide la grazia di Dio, si rallegrò ed esortava tutti a restare, con cuore risoluto, fedeli al Signore, da uomo virtuoso qual’ era e pieno di Spirito Santo e di fede. E una folla considerevole fu aggiunta al Signore. Bàrnaba poi partì alla volta di Tarso per cercare Saulo: lo trovò e lo condusse ad Antiòchia. Rimasero insieme un anno intero in quella Chiesa ed istruirono molta gente. Ad Antiòchia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani.”

Eugenio de Mazenod, durante i primi anni di ministero, opera da solo, sia con i giovani che con i carcerati e le famiglie. Ma ben presto, si rende conto che sta perdendo lo spirito di interiorità a causa degli impegni con la missione. Come fare per donarsi totalmente agli altri, restando totalmente uniti al Signore facendo tutto non per attivismo ma per la gloria di Dio?
La risposta la trova nel vangelo: “Cosa fece Nostro Signore Gesù Cristo? Scelse un certo numero di apostoli e di discepoli, li formò alla pietà, li riempì del suo spirito e dopo averli formati alla sua scuola, li inviò alla conquista del mondo…” (Reg.1818).
La missione, allora, non è più un affare personale. Ma, ad immagine dei Dodici, istituiti dal Signore, come gruppo apostolico, la comunità diviene segno e portatrice della missione.
Eugenio sa molto bene che i suoi compagni, come lui, hanno dei limiti. Come lui, sono “pressappoco buoni a nulla”. È perfettamente cosciente che il “poco bene che fanno, lo fanno perché’ il buon Dio li spinge da dietro le spalle, ma sono fratelli che il Signore gli ha dato da Amare”. L’importante è che il gruppo formi una Comunità in cui regni l’amore.
“Dobbiamo amarci come fratelli. L’affetto reciproco ci renderà felici, santi e forti per il bene”.

Tale amore non può venire che da Dio. Una comunità in cui regna l’amore di Dio, è, in virtu’ della sua esistenza, missionaria. L’amore all’interno e lo zelo all’esterno sono una sola e medesima realtà.
Noi tutti abbiamo ricevuto nel giorno del battesimo, la missione di prendere il largo nella vita, non individualmente ma con i fratelli che Dio ci dona.
Nello stesso tempo, abbiamo ricevuto lo Spirito che ci permette, di accoglierci reciprocamente come compagni di strada, degni di essere rispettati ed amati.
(P. Bernard Dullier – 15 giorni in preghiera con S. Eugenio de Mazenod)

Il nostro Superiore Generale, P. Chicho Rois, propone tre passi che possono aiutarci per un cammino di conversione e discernimento.
– RICONOSCERE RENDENDO GRAZIE. Quanto è bello per noi scoprire e riconoscere negli altri lo stesso dono che ho ricevuto! Riconoscere anche che il dono dello Spirito è molto più grande del mio gruppo, della Congregazione, dell’Istituto e dell’Associazione. Questo ringraziamento apre il nostro cuore ad approfondire il nostro senso di appartenenza, a lasciarci stimolare dagli altri ed a conoscere meglio ciò che siamo agli occhi di Dio.
– IMPARARE. Questo riconoscimento mi porta a imparare il carisma dagli altri, perché’ ciò che hanno ricevuto mi appartiene e mi aiuta a viverlo meglio. Quanto abbiamo da apprendere gli uni dagli altri per vivere meglio la nostra vocazione e missione comune.
– CREARE SPAZI E MOMENTI COMUNI. Abbiamo bisogno di momenti e strutture per riconoscerci reciprocamente come fratelli e sorelle nel carisma.

Abbiamo bisogno di creare cellule di formazione per imparare il nostro carisma dalla storia e dall’esperienza di altri gruppi e modi di vita.
Dobbiamo discernere insieme la nostra missione comune. Questo discernimento deve avvenire nella solidarietà e nella sussidiarietà.
La solidarietà ci invita a condividere ciò che siamo e ciò che abbiamo con tutti, a partire dai più vulnerabili.
La sussidiarietà ci fa rispettare l’autonomia di ogni gruppo e ci chiede di responsabilizzare tutti affinché’ possano prendere decisioni senza dipendenze paternalistiche.”(Pellegrini irradiando il nostro carisma comune – p. Luis Ignacio Rois Alonso, superiore generale OMI)

Il mio è stato un SI detto subito, c’è solo bisogno di mettere un sigillo su un’appartenenza che c’è stata da sempre.
L’M.G.C., Padri Oblati, Sant’Eugenio, missione popolare, croce Oblata erano parole che risuonavano nella mia famiglia d’origine in quanto mio fratello e mia sorella facevano parte dell’M.G.C.
In quel periodo il Signore mi voleva da un’altra “parte”, mi occupavo di volontariato facendo parte dell’associazione GVD (gruppo volontariato disabili).
Quel seme quiescente, chiamiamolo “seme del carisma oblato” stava lì senza sbocciare.
Oggi però sento che quel seme è sbocciato, ha messo radici, è soggetto alle tempeste, al sole, al vento e produce frutti a seconda delle annate; ma è lì ben saldo perché il Signore è con lui.
Infine voglio spiegare il perché ho usato la metafora dell’albero: innanzitutto perché io amo la natura e poi perché in questo periodo di riflessione ho incontrato Giuseppe, un “ragazzo” (ormai non più
ragazzo) che ha fatto parte dell’ M.G.C. Parlando con lui e invitandolo agli incontri di formazione si ricordò e condivise con me una frase che gli aveva detto Padre Raffaele:
“l’appartenenza al carisma oblato la senti sempre, è come quando pianti un chiodo in un albero e poi lo togli, quel segno rimane sempre”.

Nadia

  1. Camminiamo insieme discernendo i segni dei tempi e le ispirazioni dello Spirito?
  2. Riusciamo a vivere il carisma lasciandoci guidare dalla solidarietà e dalla sussidiarietà?