Il lavoro di Eugenia Pisani, da alcuni mesi a Kaffrine.

Eugenia Pisani, esperta di cooperazione internazionale, lavora in questo ambito da otto anni. Dopo una laurea e un master in economia dello sviluppo e cooperazione internazionale ha iniziato a lavorare nel settore, prima con alcune società di consulenza, poi con altre espressioni del terzo settore (ONG, associazioni) alternando il lavoro in Italia con esperienze sul campo. Nel 2014, insieme ad alcune colleghe ha dato vita all’Associazione Mekané – ideas for development, che si occupa di cooperazione internazionale, dalla progettazione di nuove iniziative, alla valutazione, alla sensibilizzazione. A novembre 2016 è partita con il COMI ONG per lavorare un anno a Kaffrine, in Senegal, coordinando il team del COMI (Cooperazione per il mondo in via di sviluppo) e gestendo due progetti.

Come è nata la scelta di lavorare in questo settore?
Credo che io abbia sempre saputo di voler lavorare in questo settore. Alle scuole elementari spiegai alla mia classe cosa fosse la fame nel mondo e il lavoro della FAO. Ho sempre fatto volontariato, partecipato a eventi di beneficenza e raccolta fondi. Probabilmente tutto è nato da un insieme di interessi personali ed esempi in famiglia. Non ho mai dubitato: io mi sarei dovuta occupare di cooperazione e sviluppo!

Perché quest’anno hai scelto di partire? Cosa ti entusiasma nel tuo incarico?
Da un lato avevo voglia di fare un’esperienza di lungo periodo per avere il tempo di entrare in profondità nella realtà di un Paese e del contesto di lavoro. Facendo spesso missioni di lavoro di breve periodo non ho avuto l’occasione di vivere la quotidianità di un Paese, di familiarizzare con la lingua locale, di conoscere gente del posto. Dall’altro lato, ero molto interessata alle attività del COMI, ONG con cui collaboro da tre anni e della quale mi sento parte. Uno dei progetti che sto gestendo era stato scritto proprio da me e posso dire che mettere in pratica un progetto che ho ideato mi riempie di orgoglio.

Da novembre ti trovi in Senegal, nella zona rurale di Kaffrine, insieme a quattro ragazze italiane, volontarie in servizio civile, e a due membri dello staff locale del COMI. Di cosa vi occupate?
Da una parte c’è il progetto di servizio civile delle ragazze che lavorano soprattutto per la tutela dei diritti dei bambini. Nello specifico fanno delle attività di educazione artistica in due scuole elementari di Kaffrine, organizzano attività artistiche e ludiche con i bambini dell’internato della parrocchia. Sono circa quaranta bambini dei villaggi limitrofi, ma anche di Dakar, che frequentano la scuola cattolica delle suore di Kaffrine e vivono presso la parrocchia, perché le loro case sono distanti. Le ragazze si occupano poi di attività di sensibilizzazione e tutela dei piccoli talibé, alunni delle scuole coraniche, le daraa, tra i 4 e i 14 anni. Stiamo lavorando con una cinquantina di bambini, le attività si svolgono una volta a settimana Dall’altra parte c’è il progetto “Professionisti senza frontiere”, un pro- getto che ha come capofila la FOCSIV (Federazione degli organismi cristiani servizio internazionale volontariato), il cui obiettivo è la creazione di attività economiche nei paesi da cui originano le migrazioni verso l’Europa attraverso un percorso di trasferimento di competenze che coinvolge le comunità della diaspora in Italia. Per quanto riguarda le attività specifiche del COMI, lavoriamo nella zone rurale di Kaffrine – i villaggi della valle del Bao Bolong che si trovano verso il Gambia – per fare formazione tecnica alle donne, creare un centro servizi per lo sviluppo agricolo sostenibile, la creazione e l’installazione di pannelli solari per alimentare il centro servizi e la realizzazione di un sistema di raccolta delle acque piovane per l’irrigazione.

Si dice che il Senegal sia un esempio di convivenza pacifica tra cristiani e musulmani, che rappresentano la maggioranza del paese…
Il Senegal è una repubblica laica che rispetta le diverse religioni. La presenza costante della religione si percepisce dal modo di parlare della gente (pieno dell’intercalare Inshallah, se Dio vuole), dalle moschee che sono ovunque, dai canti del muezzin, e dai nomi dei negozi che fanno sempre riferimento a un marabout (leader religioso e maestro della scuola coranica). Si capisce che è un Paese laico e aperto. Nessuno ti giudica per come sei vestito (solo i bambini che ridono dei nostri pantaloni larghi).

Due anni fa visitavi il Senegal per la prima volta: quale fu la tua prima impressione? E ora che sei tornata?
Ho avuto un’ottima impressione e ho notato subito quanto le persone siano consapevoli del potenziale del loro Paese e che ci tengano ad essere in prima linea per lavorare al suo sviluppo e miglioramento economico e sociale. Mi colpisce l’estrema disponibilità della gente: pronta ad aiutarti. Vivendo in Senegal ho viaggiato su mezzi pubblici e sono riuscita a raggiungere la meta velocemente. Sono rimasta in panne per strada e ho trovato subito aiuto. Molti senegalesi sono stati in Italia e/o hanno parenti lì e raccontano le loro storie che quasi sempre finiscono con il rientro in patria e l’avvio di un’attività. Molto in questo paese è realizzato grazie alle rimesse dei migranti. Si percepisce l’amore dei senegalesi per il loro paese e la voglia di migliorarlo. Ovviamente ci sono anche aspetti negativi e lentezze burocratiche infinite, come si può trovare anche gente che ti chiede soldi per il solo fatto di essere un tubab (un bianco), ma rispetto alla situazione che ho vissuto in altri Paesi qui si respira la voglia di collaborare, non ci sono pretese di supporto date dal fatto di rappresentare una ONG straniera. Devo anche dire che per me e la mia ONG è stato fondamentale il sostegno dei Missionari Oblati di Maria Immacolata della delegazione del Senegal che sono stati un aiuto essenziale nel riavviare le attività in loco.

Che differenza c’è tra una città come Dakar e una città della brousse come Kaffrine?
La differenza è enorme. Dakar è praticamente una città europea. A Dakar si trova di tutto: mercato dell’artigianato, teatro, concerti di musica, eventi culturali, ristoranti di ogni tipo, piscine, palestre, centri estetici… Una città che non conosce inverno e con un mare strepitoso. Qui a Kaffrine non ci sono servizi di questo tipo, non esistono le banche e i supermercati e per comprare delle fette biscottate o la passata di pomodoro bisogna arrivare a Kaolack, che dista un’ora di macchina. L’aspetto positivo è che tutti conoscono tutti. Hai ancora di più il sostegno dei vicini, l’aiuto delle persone del posto e ti senti più sicuro che in una grande città. Ovviamente tutti ci mettono in guardia sulla sicurezza, ma a Kaffrine sai anche che il proprietario della boutique davanti casa, un occhio al tuo cancello lo darà sempre e puoi lasciargli le chiavi per ogni evenienza.

Quattro ragazze italiane che vivono in un posto dove quasi non ci sono altri stranieri. Come siete state accolte?
Molto bene, abbiamo un nome senegalese e ci siamo sentite adottate. Per i prossimi mesi non saremo più nemmeno le uniche europee, perché sono arrivati altri tre volontari francesi che lavoreranno con altre ONG e devo ammettere che questo quasi ci fa ingelosire! Ci siamo abituate a vedere i bambini che ci corrono incontro: appena arriviamo a casa siamo circondate, c’è chi ci apre il cancello, chi ci aiuta a scaricare la macchina, chi mi sale in braccio perché vuol far finta di guidare… Mi dicono tutti che una volta rientrata a Roma, quando nessun bambino mi correrà dietro, nessuno per strada mi fermerà per due chiacchiere, nessuno mi chiederà come sta andando la mia giornata, mi sentirò sola e invisibile!

Che consigli daresti a chi affronta il suo primo viaggio in un paese in via di sviluppo dell’Africa? Cosa è indispensabile portare nel bagaglio?
Per fortuna arrivare in Senegal è più facile di tanti altri paesi africani… Lo capisci dal fatto che non ci sono vaccini obbligatori e che è una meta turistica super frequentata. Il consiglio generale è sempre il solito (quello che alla seconda settimana mai nessuno rispetta più): usate il repellente, non bevete acqua del rubinetto né i suoi derivati (ghiaccio, succhi, ecc.) e quando siete in giro mangiate solo cibo cotto. Detto questo il bagaglio è sempre molto personale, ma io consiglierei: la macchina fotografica, perché ci sono paesaggi bellissimi, storie da raccontare, i car rapid colorati, i vestiti coloratissimi… Poi parmigiano e un salume, perché mancano e se si passa dagli Oblati saranno contenti di riceverlo! Il caffè invece si trova, costoso ma c’è! Oltre al bagaglio ci vuole anche una sana dose di curiosità e flessibilità. L’adattamento al nuovo ambiente, il nostro organismo lo fa in automatico. La curiosità serve per sperimentare, rischiare e iniziare a parlare la lingua locale anche solo ripetendo o salutare senza avere chiaro in mente cosa si dice, provare piatti nuovi, immergersi nel contesto. Sulla flessibilità bisogna invece lavorarci: ci saranno sicuramente situazioni, atteggiamenti o comportamenti che potranno turbare. Mai porsi in maniera rigida e cercare sempre di capire cosa c’è dietro una questione culturale o un’abitudine.

(Intervista di Mariasara Castaldo, tratta da Missioni OMI 5/2017)


IL COMI (COOPERAZIONE PER IL MONDO IN VIA DI SVILUPPO) è una Organizzazione non governativa (ONG) composta da volontari che prestano impegno e professionalità per realizzare progetti nei Paesi del Sud del mondo e in Italia. Nasce nel 1973, dall’esperienza delle COMI (Cooperatrici Oblate Missionarie dell’Immacolata). Attualmente sono attivi progetti in Senegal, e in Italia, il “Progetto parla (e suona con me”) indirizzato all’integrazione dei migranti.
Il COMI ha sede a Roma in via San Giovanni in Laterano 266
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