Carissimi Confratelli Oblati e Laici Associati,

Il 21 maggio scorso, in occasione della festa liturgica del nostro Fondatore, il Superiore Generale ha indirizzato una lettera a tutta la Congregazione, incentrata sugli Oblati anziani. Una lettera molto bella, piena di umanità, perché attraversata dalla gratitudine per questi nostri Confratelli che hanno dato la vita per la missione e che continuano a darla, chi svolgendo con tenacia il ministero senza riguardo ai propri anni anagrafici, chi accettando la nuova fase della vita, segnata dai limiti fisici, dagli acciacchi più o meno evidenti, offrendo le proprie “preghiere e sofferenze a vantaggio del Regno di Dio”.

Nella lettera, padre Lougen evidenzia alcuni dati, prendendo in considerazione la fascia degli Oblati anziani a partire dall’età di 78 anni, alla luce della vita del Fondatore che fino a questa età, manifestava, come scrive il Leflont, “un’energia sorprendente e la sua presenza di spirito era totale, malgrado una vita austera e le pratiche di penitenza, ma che la malattia del cancro, in pochi mesi, lo fiaccherà, fino a condurlo alla morte nel maggio del 1861.

Nella Congregazione ci sono 766 Oblati con più di 78 anni, su un totale 3698 membri, circa il 20%. Nella nostra Provincia (Delegazioni escluse), gli Oblati, nati prima del 31 dicembre 1939, sono 61 (45 in Italia, 14 in Spagna, uno rispettivamente a Lourdes e in Venezuela) su un totale di 177 (127 in Italia, 34 in Spagna, 8 in Venezuela, 3 a Lourdes, 3 nel Sahara Occidentale, 2 in Romania), con una percentuale del 34%. Se si prendessero in considerazioni i soli territori dell’Italia e della Spagna, la percentuale degli Oblati con più di 78 anni sarebbe più alta: in Italia raggiungerebbe il 35,5%, in Spagna il 41%.

Eppure, tenendo questo dato dei 78 anni come indice per parlare degli Oblati anziani, bisogna rilevare che solo alcune comunità hanno tra i loro membri degli anziani che, il più delle volte, si rivelano determinanti per lo svolgimento dell’attività pastorale. Oltre alle comunità che fanno anche da infermeria per gli Oblati anziani e ammalati, come Diego de León, San Giorgio Canavese, Santa Maria a Vico, sulle restanti 27 comunità (Missioni comprese), solo otto hanno almeno due oblati con più di 78 anni (Casa provincializia, Aosta, Bologna, Pescara, Prefetti e SS. Crocifisso in Roma, Aluche-Madrid e Malaga) e tre sole con un Oblato anziano (San Prisco, Vercelli e Catia la Mar in Venezuela).

Tornando alla lettera del Superiore Generale, viene in evidenza la difficoltà degli Oblati anziani di lasciare il ministero: andare in pensione non sta nel dna del discepolo di sant’Eugenio. Perché? Padre Lougen individua tre ragioni, che trovo incontestabili nella mia esperienza di provinciale: a) la missione è la nostra vita, passione per il ministero; b) gli Oblati amano la gente; stare con la gente e con i poveri è la nostra passione, é un rapporto che ci dà la vita e la gente ci vuole bene; c) agli Oblati piace sentirsi utili, fanno fatica a ritirarsi; a loro è gradito avere un ministero specifico, vedere i frutti del proprio lavoro pastorale. Ma per padre Lougen “l’oblazione vissuta con il voto di obbedienza” è la caratteristica che definisce la nostra identità missionaria e non il ministero attivo. Scrive a questo proposito: “L’obbedienza più difficile consiste nell’accettare di lasciare il ministero o di andare in una casa di riposo. Accettare i limiti questa è la cosa più difficile. Accettare di non poter più guidare. La vostra missione è un’oblazione: accogliere i limiti che vengono dall’età e dalla malattia. Vivete nella fede e nella speranza. Non si tratta di fare delle cose, ma di offrire se stessi, di dare il vostro essere, completando le sofferenze di Cristo”.

La lettera termina con una dichiarazione di grande fraternità e umanità: “Vi vogliamo bene. Grazie per essere stati fedeli al carisma; per aver accolto il Concilio e il suo spirito di aggiornamento; grazie per la vostra perseveranza. Il vostro amore per la Congregazione ci spinge a rispondere alle esigenti urgenze che abbiamo davanti a noi, come i migranti e i rifugiati. Voi potete parteciparvi con la vostra preoccupazione, nella preghiera, così come per le vocazioni e per i giovani in formazione… Pregate per noi. Perché possiamo essere fedeli al carisma”.

Credo che questa lettera parli al cuore di ciascuno di noi, a chi non è ancora entrato nella fascia dell’anzianità – e non è detto che ci arrivi! – e a chi fa i conti con l’età, con le energie che diminuiscono, con i malanni che si fanno più insidiosi. Per questa ragione, sento di esprimere alcune riflessioni, pensando al corpo apostolico della nostra Provincia, dove gli Oblati anziani e anche malati, pur essendo una grande risorsa per quello che ancora riescono a fare con il ministero e per la passione che ci mettono, sono chiamati a testimoniare ai Confratelli il primato della chiamata di Dio alla santità nella vita cristiana, irrinunciabile nella vita religiosa.

Innanzitutto, pongo lo sguardo sul pensiero biblico che giudica la vecchiaia come un tempo di grazia, anche se non nega le difficoltà che questa pone nella vita del credente: “Ricordati del tuo creatore nei giorni della tua giovinezza, prima che vengano i giorni tristi e giungano gli anni in cui dovrai dire: non ci provo alcun gusto” (Qoelet 12,1). Ma la vecchiaia è soprattutto una benedizione, perché l’uomo raggiunge una pienezza di vita, da intendersi come relazione profonda con Dio, che si rivela sempre fedele verso l’uomo: «Fino alla vostra vecchiaia io sarò sempre lo stesso, io vi porterò fino alla canizie. Come ho già fatto, io vi porterò e vi salverò» (Is 46,4).

Una relazione profonda con Dio, quella dell’anziano, dove la memoria della vita passata, con le sue luci ed ombre, permette di riconsegnarsi con semplicità e umiltà nelle mani di Dio e di sentirsi discepolo per gratuità divina. Tempo, la vecchiaia, per riconquistare una testimonianza più pura dell’evangelo e ritrovare, per dirla con un’espressione di Georges Bernanos, “l’innocenza perduta” dell’appartenenza sponsale a Dio, che, talvolta, la vita ci fa perdere per quell’inclinazione naturale al protagonismo e alla competizione con cui si vive il ministero.

Una seconda riflessione la colgo dando uno sguardo alla nostra realtà provinciale. La presenza numerosa degli Oblati anziani nella Provincia non è un aspetto negativo e non può essere vista solo dall’angolatura problematica della limitazione che subiscono le dinamiche comunitarie e l’azione apostolica. Piuttosto, esprime la dimensione attuale della nostra famiglia religiosa e racconta una storia, quella della ricchezza delle vocazioni nel passato della Chiesa in Italia e Spagna, in un contesto religioso e sociale ben diverso da quello che, a partire dal post-Concilio, è andato a delinearsi fino ai nostri giorni.

L’attuale realtà oblata, con la diminuzione drastica delle vocazioni e il conseguente calo numerico del personale e il suo invecchiamento, non rappresenta un problema, ma una realtà che Dio chiede a tutti, dagli anziani ai più giovani, di accogliere e assumere nella carità e nella speranza. Immersi in una cultura dell’efficienza e del benessere, che marginalizza le persone che necessitano di attenzione e sostegno, dobbiamo anche noi stare in guardia per non avvallare una mentalità che vede il confratello anziano o malato come un peso, un impedimento alla missione. Gli anziani possono educarci ad una spiritualità dell’abbandono alla Provvidenza, alla pazienza. Ma gli anziani devono sapere di avere questa responsabilità: se si vive la vecchiaia nella lamentela, nel rimpianto, nel pessimismo, con suscettibilità verso i cambiamenti e anche nei confronti di chi è più giovane, allora viene meno la testimonianza evangelica all’interno dello stesso corpo apostolico, si indeboliscono i legami dell’appartenenza e della condivisione.

Credo che siamo chiamati, soprattutto gli Oblati anziani, ad elaborare una “spiritualità della vecchiaia” per fare emergere e testimoniare i valori e i carismi che custodisce e così testimoniare l’esperienza della sequela del Signore. Karl Barth diceva che “la vecchiaia si offre all’uomo come la possibilità straordinaria di vivere non per dovere, ma per grazia”. Non è forse una grande responsabilità, poter vivere una tappa della vita, che non tutti hanno la grazia di attraversare, nella gratitudine e nella gratuità, essere più sensibili verso gli altri, essere uomini che fanno più comunità, perché meno presi dall’attività pastorale?

Sento di fare a ciascuno di noi, ma soprattutto agli Oblati anziani o segnati dalla malattia o in difficoltà, tre consegne, ovvie, ma altrettanto fondamentali per la vita religiosa, se è vero, come lo è, che questa è chiamata, da una parte, ad affermare il primato di Dio nella vita su questa terra e, dall’altra, ad indicare la dimensione eterna come meta e compimento dell’esistenza.

La prima consegna: la preghiera, come cammino di relazione con il Padre attraverso l’amore con il Signore Gesù. Dobbiamo avere, davvero tutti, una spontanea familiarità con il Signore, per avere un’esperienza non formale con “l’Invisibile”, che ha a che fare con la nostra vita, il suo senso e destino.

La seconda consegna: la celebrazione dell’Eucarestia quotidiana, vissuta come chiamata personale storica alla croce, alla Pasqua del Signore. Lasciarci educare da questa, perché possiamo avvertire la chiamata al discepolato come un’esperienza di spogliazione, opposta a quella di autorealizzazione cui facilmente tendiamo, per sentirci servi, ma anche “servi inutili”, soprattutto “servi spogli”, incapaci di servire, come capita quando vengono a mancare le forze fisiche e spirituali. L’Eucarestia ci insegna la gioia del presente: Lui è con noi, ora! Nella malattia, nella vecchiaia, nella solitudine, Lui è con noi, ora! Nella morte è con noi per farci fare il passo nell’eternità, Lui che è il Risorto.

La terza consegna: dare più tempo alle relazioni a partire da quelle comunitarie. Essere sensibili, disponibili, saper dialogare, è il gioco della fraternità, così come lasciarsi voler bene, accettare la premura degli altri. Gli anziani possiedono l’impulso di raccontare il loro passato, di fare domande; i loro confratelli hanno il dovere di ascoltare, di interrogare, di fare spazio alla loro memoria. D’altronde, la vita cristiana è vera quando si vive la vita esprimendo parole e gesti buoni a chi ci è accanto. In questo gli Oblati anziani sono e possono esserlo sempre più dei maestri in umanità, come fratelli, ma anche come padri dei loro confratelli.

Come Provinciale, sulla sia del Superiore Generale, padre Louis, desidero ringraziare voi, Confratelli anziani, per quello che avete testimoniato e dato alla nostra Congregazione e alla missione. Grazie per quello che siete e per ciò che continuate ad offrire per la Chiesa e l’evangelizzazione. Grazie per non aver mai smesso di credere all’Amore.

Frascati, Casa provinciale, 16 luglio 2017

Vostro fratello,
padre Alberto Gnemmi, omi (Superiore Provinciale)