Perché mai questo concentrarsi della mia ricerca sulla comunione missionaria? Probabilmente perché la mia generazione è stata contrassegnata dal Concilio Vaticano II, tenutosi quando io avevo dieci anni. Pur accorgendomene in seguito, quando ero ormai in missione, il tempo della mia formazione si è svolto all’ombra dell’insegnamento conciliare, che sottolineava decisamente che la Chiesa, prima di ogni cosa, è popolo di Dio, corpo di Cristo, comunione. Sono dunque stato educato alla e per la comunione. La testimonianza comunitaria, osservata e vissuta al Centro Giovanile di Marino tra noi giovani e i padri, mi fece poi decidere di lasciare il seminario di Reggio Calabria, suscitando in me il desiderio di diventare Missionario Oblato di Maria Immacolata.
Nel libro, il riferimento al Concilio trova posto soprattutto nel primo capitolo dove si illustra, in dettaglio, la scoperta o la riscoperta del valore della comunione da parte della Chiesa dei nostri tempi. Riscoperta che è anche valida per il mistero della Trinità. Secondo il Concilio, infatti, la Chiesa è comunione a immagine della Trinità, anch’essa comunione delle tre persone divine; queste, congiunte dall’amore, formano una misteriosa unità, seppur nella distinzione.
La comunione della Chiesa, appunto come quella della Trinità, è però per sua natura missionaria, nel senso che si apre, o comunque è destinata ad aprirsi, alla missione per la salvezza del mondo. In tal modo il Concilio inaugurava un discorso di comunione missionaria che i successivi documenti del Magistero, specialmente quelli di papa Woytila, tenderanno a completare e a sminuzzare. Sarà lo stesso San Giovanni Paolo II infatti che, attraverso un documento dedicato alla vocazione-missionaria dei laici, intitolato “Christifideles laici”, lancerà la sfida della “comunione missionaria” come stile di vita ecclesiale capace di rispondere alle esigenze di nuova evangelizzazione del mondo contemporaneo. Se noi ne parliamo oggi, con una certo entusiasmo, lo dobbiamo a lui.