Natale del Signore

Il Natale, Dio che si fa uomo iniziando l’avventura proprio da zero, facendosi bambino, è il compimento di una “rivoluzione comunicativa” di Dio nei confronti dell’uomo. Per “rivelazione comunicativa” intendo un sovvertimento della strategia divina di comunicarsi all’uomo: il suo modo di parlare di sé, di farsi conoscere e comunicare con l’umanità.
Nella storia, per farsi conoscere, Dio deve innanzitutto attirare su di sé l’attenzione dell’uomo, per fargli capire che non è solo nell’universo; per farlo, ha bisogno di segni grandiosi, di portenti, di prodigi stupefacenti. Il Dio dell’Antico Testamento è il Dio che si fa conoscere attraverso questi segni di “potenza”: il diluvio, la colonna di fuoco che divide il Mar Rosso, ecc…
Una volta che ha dichiarata all’uomo la sua presenza, però, inizia ad educarlo a ricercarlo in segni meno appariscenti, nella semplicità delle piccole cose. È un Dio che vuole comunicarsi nel quotidiano, che vorrebbe far sentire all’uomo la sua vicinanza e la sua presenza nella storia – dell’umanità intera e personale di ciascuno – quotidianamente, nelle piccole cose. Del resto, non può dividere ogni giorno il Mar Rosso!

Già fu così con Elia, il profeta. Dopo una serie di vicissitudini, Dio gli dà appuntamento sulla stessa montagna su cui (altri prodigi spettacolari) in una nube di fuoco, incise personalmente le sue 10 Parole su tavole di pietra. Era logico aspettarsi, da parte di Elia, una rivelazione altrettanto grandiosa. Invece, Elia sente passare il terremoto, il fuoco, vede le montagne che fumano… e capisce che Dio non è lì. Solo quando si alza una brezza leggera, capisce che Dio lo sta chiamando fuori dalla caverna in cui si era rifugiato ad aspettarlo.
Dio viene nelle cose semplici, e si vuole far riconoscere in quelle.

È una questione in cui si gioca la nostra libertà! Dio vuole farsi conoscere da tutti, ma vuole che lo accolga solo chi veramente lo vuole! Lui non forza nessuno ad accoglierlo, non vuole schiacciare l’uomo sotto il peso di un’evidenza che lo farebbe sì riconoscere, ma “per forza”, non per amore. Dio mette davanti agli occhi tutto ciò di cui abbiamo bisogno per credere, ma senza strafare. In quella logica del “vedo e non vedo”, in cui l’ultimo passo lo deve fare la nostra libertà: siamo noi che dobbiamo deciderci, prendere posizione, fare il salto oltre quel baratro di vuoto tra la sua voglia di comunicarsi e la nostra accoglienza, quel vuoto tra la sua manifestazione e l’evidenza, che Dio lascia come spazio alla nostra libertà.
Sappiamo che, per uno strano meccanismo psicologico, se vuoi nascondere veramente una cosa, ti conviene metterla proprio lì, davanti agli occhi di tutti; sarai quasi sicuro che nessuno ci farà caso, troppo impegnati a cercare nei posti più impensabili.
Ecco, allora, che questa “pedagogia della libertà” si ripete nel Natale.

Tutti i protagonisti del Natale sono stati “avvisati” del prodigioso evento della nascita del Salvatore attraverso un segno grande: Maria ha avuto l’annuncio dell’Angelo e il parto verginale, cosa mai udita prima; Giuseppe, dubbioso, ha avuto la visita di un angelo del Signore durante un sogno; i pastori hanno assistito all’apertura del Paradiso, con schiere di cori angelici che cantavano e ballavano manifestando la Gloria di Dio; i magi, radunati dai 4 angoli sperduti del mondo, hanno assistito al levarsi di quella strana Stella.
Però poi tutti, di fronte a quel bambino, quel frugoletto, quel saccottino di carne paffuta, hanno dovuto mettere da parte il loro imbarazzo ed essere chiamati a dire: “qui c’è Dio!”. È lì, in quel momento, di fronte ad un semplice bambino, davanti ad una cosa che non si aspettavano, che sono stati chiamati a fare la loro scelta tra credere, fidarsi, accogliere, e lasciar perdere tutto e girare le spalle.
Anche Maria, con la sua storia personale così particolare; di fronte a quel bambino che piangeva, sorrideva, aveva freddo e puzzava quando faceva la cacca (niente di blasfemo o irrispettoso: è anche questo il mistero dell’incarnazione!), ha dovuto superare quella barriera sottile di dubbio e dirsi: “questo è Dio!”.
Gesù, fin da Bambino, ci fa fare questa esperienza di cercare lì, proprio dove nessuno cercherebbe, eppure così tremendamente davanti agli occhi! Dio che si nasconde nelle cose impensabili ma semplici, di tutti i giorni, dove tutti i giorni può essere trovato.
È un allenamento a cui ci “costringe” fin dall’inizio; potremmo dire che Gesù Bambino… è il “personal trainer” dell’anima!

Dio che si fa trovare in un bambino, abbiamo già detto. Dio che, a te che lo cerchi con gli occhi in alto, ti dice che è nel fratello! Altro luogo in cui noi non avremmo mai cercato! Il Dio Altissimo è invece proprio lì, proprio accanto a te, ad un centimetro alla tua destra, in quel fratello così antipatico in cui tu pensavi che mai e poi mai Dio potesse nascondersi.
Dio è nell’Eucaristia: un semplice pezzo di pane e un sorso di vino, spesso neanche di grande qualità per chi lo beve. Cose semplici, che hai sempre davanti agli occhi… e anche lì si rinnova la tua scelta: “è pane… è PANE! …eppure è Dio!”. Dio che si nasconde nelle piccole e grandi gioie, come nei dolori, del nostro quotidiano. Ma può essere mai che in questa cosa che mi fa gioire, o che mi fa così male, ci sia Dio? Ebbene, sì. C’è Dio anche lì. Incredibile, no? Stranezze (o fantasia) di un Dio geniale.

Ecco allora che il gioco del Natale si ripete ogni giorno. Per cui è Natale ogni volta che ci mettiamo sinceramente alla ricerca di Dio, e abbiamo il coraggio di fare quel salto oltre il burrone, lo riconosciamo e lo accogliamo.
Proprio il giochetto che non è riuscito ai personaggi descritti nel Prologo di S. Giovanni: “venne tra i suoi, si fece come loro… eppure i suoi, quelli che stavano attorno a Lui, non l’hanno riconosciuto!”.

Il nostro è un Dio a cui piace giocare a nascondino; ma che si diverte, stranamente, a farsi trovare.
Meno male.
Buon Natale!